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Blog a cura di Mimmo Fuggetti

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giovedì 17 gennaio 2013

THE MASTER


di Paul Thomas Anderson
con Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern, Rami Malek, Jesse Plemons, W. Earl Brown, Kevin O'Connor, Lena Endre, Ambyr Childers






DRAMMATICO - 137 minuti - USA 2012



Freddie (Joaquin Phoenix) è un marinaio, alcolizzato e un talento nel creare distillati alcolici. Una volta  tornato in patria, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, prova a reintegrarsi nella società, in un primo momento come fotografo in un centro commerciale, poi, ancora, come agricoltore, ma in entrambi i casi fallisce i suoi tentativi. Il protagonista si imbarcherà nuovamente, questa volta per errore dovuto al suo stato di ebrezza, per combattere forse il vero antagonista dell'ultima pellicola di Anderson: i demoni di un passato che lo hanno reso il disadattato di oggi, solo, senza casa né famiglia e con l'unica speranza di ritrovare nel Massachusetts l'amata sedicenne Doris. Su questa nave incontra "un'altro lui" chiamato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il quale si presenta dicendo: "Sono uno scrittore, dottore, fisico nucleare, filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo". I due personaggi sono molto simili tra loro, entrambi con istinti animaleschi, privi di un vero affetto, simpatizzanti l'uno dell'altro. Lancaster Dodd porta avanti le sue idee, quella che lui ama definire "la causa", la quale si rivelerà una sorta di specchio dell'America stessa: un'idea priva di basi solide e punti di riferimento (si passa con troppa semplicità ad un cambiamento di metodo, da “riesci a ricordare?” a “riesci a immaginare?”). Anche i protagonisti dell'opera andersoniana sembrano rispecchiare il continente americano, privi di un passato glorioso, di una storia, di una figura "materna" (nel film infatti non compaiono scene madri, sarà un caso?). 
C'è chi si aspettava un attacco a Scientology per via della "setta", della "causa" e del personaggio interpretato da Hoffman (che a tratti ricorda il Kane di Welles), il quale accudisce il povero e sbandato Freddie, eppure ci troviamo davanti a molto più di questo. 
Non è semplicemente una critica a Hubbard (il fondatore di Scientology), piuttosto l'opera punta il dito contro un'intera nazione rimasta chiusa in una cella dalla quale non riesce più ad uscire, dove ogni via d'uscita che si presenta appare illusoria e fragile come sabbia. I ricordi divengono sogni/incubi, illusioni e ipotesi (ci siamo già conosciuti in un'altra vita?), forse speranze di un'immaginario troppo distante da raggiungere. Epico il faccia a faccia finale, proprio come avviene ne Il petroliere, tra i due protagonisti, dove Lancaster Dodd invita Freddie a fargli sapere se riuscirà mai ad essere felice senza un vero e proprio punto di riferimento e che se mai dovesse riuscirci, allora sarà il primo caso nella storia. 
Quella di Paul Thomas Anderson sembra quindi, più che un racconto, una vera e propria "tesi" e un invito alla crescita, all'andare avanti verso un futuro dove il passato americano non è più invitato. Capolavoro assoluto.

3 commenti:

  1. Quoto! Il film ha più letture, molti e illustri critici hanno parlato di una prima ora di film straordinaria e di una seconda parte in cui il film si perde un po' non sapendo bene che strada prendere, io invece, come te, credo che il film non si perda e che Anderson sappia perfettamente, almeno inconsciamente (che è poi quello che conta), dove vuole arrivare. Trovo molto interessante il montaggio dell'ultima mezz'ora, diventa imprevedibile e ubriaco come il protagonista, ci costringe ad uscirne stravolti e consapevoli finalmente di quello che hai esplicato nella tua recensione. Bravo!

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  2. Ecco no ... ho sbagliato aggettivo, ci costringe ad uscirne inquieti più che stravolti, è un film che se da una parte permette di organizzare discorsi logici ed interessanti, dall'altra, per certi versi, conserva il suo essere oggettivamente inquietante.

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