La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale.

Louis Lumière

Cerca recensione

Benvenuti su CineCritica!

Uno spazio su cui leggere le recensioni di nuove e vecchie pellicole uscite in sala.
Blog a cura di Mimmo Fuggetti

TORNA ALLA HOME PAGE

martedì 29 gennaio 2013

DJANGO

di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Walton Goggins, Don Johnson, Samuel L. Jackson, Bruce Dern, James Russo, James Remar, Amber Tamblyn, Nichole Galicia, Laura Cayouette, Jonah Hill.
USA 2012 - Durata 165 minuti.

Non è semplice affrontare una critica che riguardi un film di Quentin Tarantino. Ogni sua opera contiene diverse chiavi di lettura. Il percorso di crescita di questo immenso autore lo ha portato oggi a partorire una pellicola lunga 165 minuti, dove all'interno è possibile ritrovare tutta la sua cultura cinematografica. Django è questo: un mix di tutta la sua filmografia associata a continui richiami di opere che hanno costruito un regista in grado di ritagliarsi un posto nell'olimpo degli autori. 
Negli Stati Uniti del Sud, da qualche parte nel Texas, due anni prima della Guerra civile, lo schiavo Django (Jamie Foxx) viene acquistato dal dottor Schulz (un Christoph Waltz straordinario), un dentista tedesco diventato cacciatore di taglie, col patto di liberarlo dopo che insieme avranno catturato i pluriomicidi fratelli Brittle. Assimilando il talento di Schulz, Django diventa un killer infallibile e intanto coltiva il desiderio di ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda (Kerry Washington), acquistata come schiava tempo prima dal malvagio Calvin Candie (Leonardo DiCaprio probabilmente il migliore tra tutti gli attori con Samuel L. Jackson).
Come Django assimila dal dottor Schulz, anche Tarantino compie la stessa operazione da altri autori, da Leone a Corbucci, o ancora a Griffith. La sequenza del Ku Klux Klan ricorda quella del film Nascita di una nazione, anche in questo caso rimodellata in chiave ironica e decisamente riuscita (probabilmente la migliore del film). Proprio questo rimandare al passato potrebbe esserci utile a capire cosa c'è dietro Django: un passato che prepotentemente torna nel presente o che forse non è mai passato del tutto. I continui flashback presenti nel film rimandano a qualcosa di già visto, ma questa volta riformulati in chiave tarantiniana, aggiungendo quel tocco che ha contraddistinto il regista di Kill Bill, Le iene, Pulp Fiction, Grindhouse e Bastardi senza gloria. La sequenza di D'artagnan sbranato dai cani rimanda a quella girata dall'amico Rodriguez in Sin City, dove Elijah Wood veniva legato ad un albero per poi essere decapitato. Ancora, la sparatoria splatter finale sembra ricordarci la sequenza di Kill Bill dove si assiste al duello tra Uma Thurman e Lucy Liu. Ma i ricalchi al suo cinema non sono finiti: nel finale del film Jamie Fox viene appeso a testa in giu e uno scagnozzo di Di Caprio lo minaccia con un coltello, telecamera bassa e voilà, dèjà vu di Michael Madsen nel film Le Iene. Degna di nota è tutta la colonna sonora (anche la fotografia), il contrasto tra la musica rap e le immagini western crea un mondo completamente tarantiniano e originale che diviene delizia per gli occhi e per le orecchie.
Dopo Bastardi senza gloria, Tarantino riprende il tema del nazismo e lo immerge in una pentola chiamata western, tralasciando John Wayne e privilegiando Franco Nero (che compare anche nel film nella sequenza del duello tra neri davanti agli occhi del perfido Di Caprio), ma questa volta l'operazione gli riesce fino a un certo punto. Mentre con il precedente film lo spettatore esce dalla sala consapevole di aver appena visto un capolavoro (come lo stesso Brad Pitt sostiene alla fine del film), con Django si ha la sensazione di uscire indubbiamente soddisfatti, ma con il dubbio che qualcosa sia mancato a questi 165 minuti di pellicola. Sicuramente la grandezza di Django sta nell'originalità di un autore che ormai è una garanzia, ideando un filone pulp che solo lui può permettersi di creare. 
Caro Quentin, se prima avevi la nostra curiosità, adesso hai tutta la nostra attenzione.

giovedì 17 gennaio 2013

THE MASTER


di Paul Thomas Anderson
con Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern, Rami Malek, Jesse Plemons, W. Earl Brown, Kevin O'Connor, Lena Endre, Ambyr Childers






DRAMMATICO - 137 minuti - USA 2012



Freddie (Joaquin Phoenix) è un marinaio, alcolizzato e un talento nel creare distillati alcolici. Una volta  tornato in patria, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, prova a reintegrarsi nella società, in un primo momento come fotografo in un centro commerciale, poi, ancora, come agricoltore, ma in entrambi i casi fallisce i suoi tentativi. Il protagonista si imbarcherà nuovamente, questa volta per errore dovuto al suo stato di ebrezza, per combattere forse il vero antagonista dell'ultima pellicola di Anderson: i demoni di un passato che lo hanno reso il disadattato di oggi, solo, senza casa né famiglia e con l'unica speranza di ritrovare nel Massachusetts l'amata sedicenne Doris. Su questa nave incontra "un'altro lui" chiamato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il quale si presenta dicendo: "Sono uno scrittore, dottore, fisico nucleare, filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo". I due personaggi sono molto simili tra loro, entrambi con istinti animaleschi, privi di un vero affetto, simpatizzanti l'uno dell'altro. Lancaster Dodd porta avanti le sue idee, quella che lui ama definire "la causa", la quale si rivelerà una sorta di specchio dell'America stessa: un'idea priva di basi solide e punti di riferimento (si passa con troppa semplicità ad un cambiamento di metodo, da “riesci a ricordare?” a “riesci a immaginare?”). Anche i protagonisti dell'opera andersoniana sembrano rispecchiare il continente americano, privi di un passato glorioso, di una storia, di una figura "materna" (nel film infatti non compaiono scene madri, sarà un caso?). 
C'è chi si aspettava un attacco a Scientology per via della "setta", della "causa" e del personaggio interpretato da Hoffman (che a tratti ricorda il Kane di Welles), il quale accudisce il povero e sbandato Freddie, eppure ci troviamo davanti a molto più di questo. 
Non è semplicemente una critica a Hubbard (il fondatore di Scientology), piuttosto l'opera punta il dito contro un'intera nazione rimasta chiusa in una cella dalla quale non riesce più ad uscire, dove ogni via d'uscita che si presenta appare illusoria e fragile come sabbia. I ricordi divengono sogni/incubi, illusioni e ipotesi (ci siamo già conosciuti in un'altra vita?), forse speranze di un'immaginario troppo distante da raggiungere. Epico il faccia a faccia finale, proprio come avviene ne Il petroliere, tra i due protagonisti, dove Lancaster Dodd invita Freddie a fargli sapere se riuscirà mai ad essere felice senza un vero e proprio punto di riferimento e che se mai dovesse riuscirci, allora sarà il primo caso nella storia. 
Quella di Paul Thomas Anderson sembra quindi, più che un racconto, una vera e propria "tesi" e un invito alla crescita, all'andare avanti verso un futuro dove il passato americano non è più invitato. Capolavoro assoluto.

martedì 15 gennaio 2013

VITA DI PI

di Ang Lee.

Con Suraj  Sharma, Irrfan  Khan,  Tabu,  Rafe  Spall,  Gérard  Depardieu, Adil  Hussain.


Avventura, Drammatico - Durata 127 minuti - USA, 2012.

Tratto dal celebre romanzo di Yann Martel, il pluripremiato regista Ang Lee riabbraccia la natia Taiwan. L'autore decide di sperimentare per la prima volta il 3D, regalandoci inquadrature straordinarie tra oceano e cielo, tra la terra e l'altrove. 
Il progetto di Vita di Pi esiste già da circa dieci anni e solo oggi approda nelle sale di tutto il mondo. L'opera narra le vicende di  Pi Patel, figlio del guardiano dello zoo di Pondicherry, in India, che con la famiglia si sta trasferendo in Canada, a bordo di una nave da carico. Superstite di un tragico naufragio, Pi si ritrova alla deriva nell'Oceano Pacifico, su una scialuppa di salvataggio, in compagnia di una enorme tigre del Bengala chiamata Richard Parker per errore. Il romanzo, cosi come il film, fortunatamente non trasforma il feroce felino nel miglior amico dell'uomo come spesso accade in tante opere cinematografiche, ma lascia l'enorme difficoltà di affrontare un viaggio nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico in compagnia di una minaccia costante come una tigre del Bengala. Più volte menzionato nel film è il tema della religione, o meglio delle religioni, le quali vengono tutte prese in considerazione e coltivate con amore da parte del protagonista Pi. Egli infatti non crede in un unico Dio, ma amplia le sue conoscenze religiose approfondendone molteplici tipi. L'Expedition di Pi viene da lui stesso raccontata ad uno scrittore, il quale ne rimarrà affascinato e incredulo. 
Non mancano le tantissime citazioni cinematografiche: sembra di ripercorrere le avventure di Tom Hanks in Cast Away (dove il protagonista stringe una forte amicizia con una palla, mentre nel caso di Pi si tratta di una tigre, forse l'unica a permettergli di trovare le forze per affrontare questo lunghissimo viaggio), l'inquadratura su sfondo bianco nel finale del film ricorda a tratti l'Alex di Arancia meccanica per alcuni risvolti che il film prende nel proseguo della trama. 
Degni di nota sono i raccordi presenti nell'opera, il montaggio merita di essere menzionato, cosi come gli straordinari effetti visivi che fanno di Vita di Pi un film sublime anche da un punto di vista prettamente visivo. 
Il regista taiwanese porta quindi sul grande schermo un'opera che si prende le sue undici nomination all'Oscar di quest'anno (tra queste miglior film, regia, sceneggiatura non originale) e disegna una parabola ascendente sulla vita e sulla spiritualità, natura e cultura, fede e scienza, credere o non credere. Infondo è questo l'interrogativo di Vita di Pi: bisogna decidere da che parte stare, schierarsi verso uno dei due fronti, se la realtà o l'irrazionalità, il possibile o l'impossibile. Tirando le somme anche questo stesso film sembrava non dover più prender vita, eppure eccolo qui, pronto a lasciarci a bocca aperta e attraverso le nostre bocche sarà possibile percepire questo straordinario universo cinematografico creato da uno dei maestri contemporanei del cinema. Basta semplicemente crederci.