tag:blogger.com,1999:blog-65845960689310947982024-03-05T18:00:37.739+01:00CineCriticaCineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.comBlogger49125tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-8899199514716958182021-04-18T15:26:00.006+02:002021-04-18T15:57:03.111+02:00Nomination agli Oscar 2021: la parola ai giurati<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" lang="EN-US" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span color="windowtext" lang="EN-US" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDR24DKXz1E5E0YfuJS4iBCcQ3TjXpEG-vKROIDW8DEvdYEyh7gjfEK9pq6AX0YU4cerIdIbBP95Z0yCpbVDh6-zCIkagtZ8U8P3d7bUHBf4N4dEf3i7PDUwo7y8Ayi45hOQUn-h50T5c/s1050/oscar+2021.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="oscar 2021 collage" border="0" data-original-height="590" data-original-width="1050" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDR24DKXz1E5E0YfuJS4iBCcQ3TjXpEG-vKROIDW8DEvdYEyh7gjfEK9pq6AX0YU4cerIdIbBP95Z0yCpbVDh6-zCIkagtZ8U8P3d7bUHBf4N4dEf3i7PDUwo7y8Ayi45hOQUn-h50T5c/w621-h360/oscar+2021.jpg" width="621" /></a></span></div><p><span color="windowtext" lang="EN-US" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"> <br /></span></p><p></p><p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" lang="EN-US" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">"It's been a long, a long time coming" cantava Sam
Cooke. </span><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">In effetti ne è passato di tempo
dall'ultima volta che ci siamo seduti in una sala cinematografica inebriati dal
profumo di popcorn, spettatori di sogni d'autore e reinterpretazioni del mondo.
Quest’anno le piattaforme d'intrattenimento si sono fatte carico di questo
compito. Il prossimo 25 aprile si terrà la<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">
93ª edizione degli Oscar</b>, e già a partire dalle nomination si preannuncia
un'annata da record. Da segnalare sicuramente il numero positivo di candidature
al femminile: per la prima volta due donne (Chlow Zhao e Emerald Fennel)
concorrono per il premio alla miglior regia. A rappresentare il cinema italiano
troviamo <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pinocchio </i></b>di Matteo Garrone
(candidato a miglior trucco e migliori costumi) e il brano <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Io sì (Seen)</i></b> di Laura Pausini (candidato come miglior canzone
originale per il film <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>La vita davanti a
sé</b> </i>e già vincitore di un Golden Globe). <br /></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Questo post non vuole essere una recensione di ogni film
candidato, ma una riflessione sul fil rouge che lega queste <span style="background-color: #9fc5e8;"><a href="https://www.oscars.org/oscars/ceremonies/2021" target="_blank">nomination agli Oscar 2021</a></span>.</span><br /></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">In <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>Ma Rainey's
Black Bottom</b> </i>troviamo l'ultima interpretazione di Chadwick Boseman,
scomparso prematuramente lo scorso 28 agosto. Nato dall'adattamento
dell'omonima piece teatrale di August Wilson, il film di George C. Wolf ci
mostra come Gertrude "Ma" Rainey (interpretata da Viola Davis) e la
sua band hanno inciso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Black Bottom</i>
nel 1927. La vicenda si svolge quasi totalmente in spazi chiusi, precisamente
all'interno di uno studio di registrazione, dove emergono le personalità e gli
scheletri nell'armadio dei protagonisti.</span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Un processo simile accade per <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>One night in Miami</b>… </i>dove all'interno di una stanza di un motel
troviamo Malcom X, Mohammed Ali, Jim Brown e Sam Cooke in procinto di
festeggiare la vittoria dell'icona del pugilato mondiale, per poi confrontarsi
su temi più impegnati come i diritti civili. Il film di Regina King sembra però
apparire più come un'ottima opera teatrale piuttosto che cinematografica. Gli avvenimenti
raccontati, infatti, sono un ibrido tra immaginazione e realtà. Quattro grandi
personalità afroamericane degli anni '60 si ritrovano a discutere e a
confrontarsi su questioni razziali e sulle discriminazioni subite. I punti di
forza sono indubbiamente la colonna sonora, curata da Terence Blancharde (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La 25a Ora</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Harriet</i>), e la performance di Leslie Odom Jr. che nel film
interpreta Sam Cooke e la sua splendida <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A
Change is Gonna Come</i>. <br /></span></p><p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://64.media.tumblr.com/ca799438c461050fb0431c71e322fdd7/4a369fdce1bc141c-da/s500x750/77508da804f78470d2245c0775aacf1f727f5313.gifv" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="271" data-original-width="500" src="https://64.media.tumblr.com/ca799438c461050fb0431c71e322fdd7/4a369fdce1bc141c-da/s500x750/77508da804f78470d2245c0775aacf1f727f5313.gifv" /></a></div><span style="mso-ansi-language: IT;"></span><p></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Il tema del razzismo sembra farla da padrone in questa
edizione degli Oscar, ne è un’ulteriore conferma la nomination per <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>Da 5 Bloods</b> </i>di Spike Lee (anche qui nel
cast ritroviamo Chadwick Boseman) e soprattutto di <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Judas and the Black Messiah</i></b>, con ben 6 candidature tra cui miglior film.
La regista newyorkese Shaka King qui mette in scena la storia vera del diciassettenne
William "Bill" O'Neal, arrestato per furto d'auto alla fine degli
anni Sessanta. Un federale dell'FBI propone al ragazzo uno scambio: salvare la
pelle e accettare l'incarico di infiltrato nella sezione dell'Illinois del
partito delle pantere nere.</span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Persino <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il processo
ai Chicago 7</i></b> vede tra i coinvolti in tribunale uno dei membri dei Black
Panther, anche se, in questo caso, il film scritto e diretto da Aaron Sorkin
pone al centro del racconto lo storico dibattito avvenuto nel ‘68. Quella che
doveva essere una pacifica manifestazione alla convention del partito
democratico statunitense si trasforma in una serie di scontri con la polizia.
Tra i rappresentanti della manifestazione troviamo Abbie Hoffman, Jerry Rubin,
Tom Hayden e Bobby Seale. Il film sembra un prodotto impacchettato per
aggiudicarsi la tanto ambita statuetta, nel cast spiccano i nomi di Sacha Baron
Cohen, Joseph Gordon-Levitt, Michael Keaton, Frank Langella, Eddie Redmayne e
Jeremy Strong (quest'ultimo continua a ritagliarsi uno spazio importante tra le
stelle di Hollywood dopo averlo visto nell'ottimo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Gentlemen </i>di Guy Ritchie oltre che nella pluripremiata serie <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Succession</i>).</span><span style="mso-ansi-language: IT;"></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Altro legal movie è <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pieces
of a Woman</i></b> dove il tribunale fa da sfondo alle vicende di Martha
(interpretata da Vanessa Kirby). Il film, diretto dall'ungherese Kornél
Mundruczo, inizia con un ottimo piano sequenza del parto / lutto domiciliare
della protagonista, probabilmente la scena migliore dell'opera, poi prosegue
con il processo che determinerà le colpe dell'accaduto.</span><span style="mso-ansi-language: IT;"></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Mank </span></i></b><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">di
David Fincher è un monumentale racconto della Golden Age hollywoodiana,
servendosi delle vicissitudini pre-Citizen Kane (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quarto Potere</i>, Orson Wells, 1941). Il film vede come protagonista
uno dei migliori Gary Oldman di sempre vestire i panni di Herman J. Mankiewicz,
sceneggiatore del capolavoro di Wells. Una sceneggiatura nella sceneggiatura,
servendosi del bianco e nero Fincher mette in scena, a suon di flashback,
un'opera che racconta l'anti-Hollywood e l’importanza di saper mettere un film
nero su bianco.</span></p><p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.thebuffandtheblazer.com/wp-content/uploads/2021/01/tenor.gif" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="288" data-original-width="640" src="https://www.thebuffandtheblazer.com/wp-content/uploads/2021/01/tenor.gif" /></a></div><p></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Spazio alla parola dunque, come sottolinea <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>Notizie dal mondo</b> </i>di Paul Greengrass. È
la storia di Kidd, un newsman che gira tra villaggi sperduti leggendo notizie
quotidiane agli abitanti del posto. Dopo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Captain
Phillips</i>, il regista britannico lavora nuovamente con Tom Hanks
protagonista. Kidd si ritrova a prendere in custodia la giovane Johanna,
un'orfana indiana, deciso a riportarla alla sua tribù natale. I due danno vita
a un "western moderno" ricco degli elementi più classici del genere,
ma spostando il focus sull'importanza della comunicazione (la giovane Johanna
parla solo kiowa) e introducendo apparizioni spettrali apocalittiche che
distruggono il paesaggio più selvaggio mai rappresentato sul grande schermo.</span><span style="mso-ansi-language: IT;"></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Degna di nota è la nomination per <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><b>Sound of Metal</b> </i>dell'esordiente regista americano Darius Marder.
D'un tratto non si percepisce che il silenzio. Riz Ahmed interpreta Ruben, batterista
di un duo metal formato con la sua amata Lou (Olivia Cooke), che di colpo si
accorge di aver perso l'udito. È grazie a un magistrale montaggio sonoro che lo
spettatore è coinvolto in ciò che accade fuori e dentro la mente di Ruben. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sound of Metal </i>è un'immersione
percettiva ovattata che raffigura la crescita del suo protagonista, costretto a
fare i conti con la sua mancanza, senza mai essere scontata e strappalacrime.</span><span style="mso-ansi-language: IT;"></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">La musica è la "scintilla" anche per Joe
Gardner, protagonista del film d'animazione <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Soul</i></b>.
Joe è un insegnante col sogno di diventare un pianista jazz. Dopo un incidente,
la sua anima viene trasportata nell'altro mondo, ma la paura di andarsene senza
prima aver realizzato i suoi sogni lo conduce il un "pre-mondo" dove
gli verrà assegnato il compito di aiutare la pestifera anima in crescita n.22, in
cerca da tempo della sua scintilla. Pete Docter con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Soul </i>sembra voler raccontare tutti i 25 anni della filmografia
Pixar, dalle cadute in chiave slapstick di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Wall-E
</i>ai voli di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Up</i>, racchiudendo la
propria anima nell'ultima opera, senza però apportare grandi novità.</span><span style="mso-ansi-language: IT;"></span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Anche <b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Onward </i></b>di
Dan Scanlon è targato Pixar: l'avventura di due fratelli elfi alla ricerca del
padre perduto (defunto) che ritorna magicamente in vita, ma solo dalla cintura
in giù. Per poterlo avere tutto intero i due fratelli si ritrovano ad
affrontare un viaggio in stile <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Weekend
con il morto</i>. Un godevole on the road popolato da orchi, centauri, ciclopi
e una magia perduta.</span></p><p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://64.media.tumblr.com/d3186def4218a412bc599e59a2ddf213/cba3eb8d8563b548-b8/s400x600/99bdb2eda720f0e14d99b3237e3b958df558770b.gifv" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="222" data-original-width="400" src="https://64.media.tumblr.com/d3186def4218a412bc599e59a2ddf213/cba3eb8d8563b548-b8/s400x600/99bdb2eda720f0e14d99b3237e3b958df558770b.gifv" /></a></div><p><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Viaggio nella natura anche per Fern, protagonista di <b><i>Nomadland</i>
</b>(già vincitore ai Bafta), che vuole attraversare gli Stati Uniti occidentali a
bordo del suo furgone. Il film di Chloé Zhao si ispira all'omonimo libro di
denuncia della giornalista Jessica Bruder, che condanna la condizione degli
homeless statunitensi durante il periodo della grande recessione del 2008.</span>
</p><p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;"><b>L'importanza della parola</b> sembra essere il vero filo
conduttore di questa edizione degli Oscar: il racconto della nascita della sceneggiatura che ha stravolto l'identità del cinema stesso (<i>Mank</i>), le notizie lette da Tom
Hanks agli abitanti di villaggi sperduti e le difficoltà nel comunicare con la
giovane indiana (<i>Notizie dal mondo</i>), le quattro chiacchiere, fatte tra
quattro mura, tra quattro icone afroamericane (<i>One night in Miami...</i>),
l'impossibilità di ascoltare il prossimo e l'importanza di conoscere nuovi
linguaggi (<i>Sound Of Metal</i>), la libertà di espressione messa in
discussione (<i>Il processo ai Chicago 7</i>), lo scoppio della propria rabbia
repressa e le difficolta della balbuzie (<i>Ma Rainey's Black Bottom</i>).</span></p>
<p class="Standard" style="line-height: 115%; margin-bottom: 10pt; text-align: justify;"><span color="windowtext" style="font-size: 11pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: Calibri;">Il cinema nasce offrendosi come spettacolo di sole
immagini, la parola arriverà poi in un secondo momento. Oggi, a distanza di 94
anni dall'avvento del sonoro, la mutazione alla quale assistiamo è sicuramente
rivolta ad un contesto digitalizzato. Basti pensare che, paradossalmente, si
parla di cinema visto su piattaforme digitali. Sia essa intesa come scritta,
parlata, letta, cantata o ascoltata, la <b>parola</b> può essere il ponte di comunicazione
tra mondi diversi che mai come oggi necessitano di connessioni e confronti.</span></p>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-35829644365783471752020-09-04T13:54:00.002+02:002020-09-04T14:00:18.290+02:00Il fenomeno Tenet e la nuova faccia del cinema contemporaneo<h4 style="text-align: left;"><br /></h4><h4 style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq5rMzL6R9-LBNAam08XwK6TN88fB5TCSXlkMr6Ea9JoOfFtFb9vr0HnmbuG1CcDif5gsLQfdxISAoDt3Vtrd7glYKwPC79rdrdeKmHqf2lu2YCCv-tfk3FvUBcr9N4X4DGoVS0g1W_gA/s622/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="622" data-original-width="420" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq5rMzL6R9-LBNAam08XwK6TN88fB5TCSXlkMr6Ea9JoOfFtFb9vr0HnmbuG1CcDif5gsLQfdxISAoDt3Vtrd7glYKwPC79rdrdeKmHqf2lu2YCCv-tfk3FvUBcr9N4X4DGoVS0g1W_gA/s320/locandina.jpg" /></a></div></h4><h4><br /></h4><h4>Di Christopher Nolan </h4><h4>Con John David Washington, Robert Pattinson, Elizabeth Debicki, Dimple Kapadia, Aaron Taylor-Johnson Clémence Poésy, Michael Caine</h4><h4 style="text-align: left;"><br />Fotografia di Hoyte van Hoytema<br />Musiche di Ludwig Göransson<br />Montaggio di Jennifer Lame</h4><p dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 8pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il quadrato del Sator può essere considerato come uno dei più antichi rompicapo del nostro passato. Un quadrato magico, una sorta di puzzle o cubo di Rubik composto da cinque parole: Sator, Arepo, Opera, Rotas e Tenet, appunto. È possibile paragonare l'ultima opera di Christopher Nolan al rompicapo stesso. Ciò che l'autore compie con la sua ultima pellicola è una sorta di smantellamento della più classica concezione che abbiamo nei confronti del cinema stesso.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 8pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Servendosi di una tecnica di montaggio mai vista prima, </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tenet</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> stravolge ogni tipo di linearità cinematografica, giocando sulle linee temporali, spingendo lo spettatore ad ancorarsi all’azione intesa come forza motrice della narrazione e dell’evoluzione del personaggio. In </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Memento</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, la ricostruzione dei fatti avviene attraverso un montaggio al contrario. In </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Inception</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, i diversi livelli di sogno trasmettono un senso di viaggio tra varie linee temporali attraverso una differente velocità delle linee oniriche. </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dunkirk</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> si sviluppa con un montaggio che alterna tre tempi paralleli. </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Interstellar</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> è sì un viaggio spaziale, ma anche temporale, dal momento che il tempo scorre in maniera differente tra i pianeti. </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nel caso di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tenet</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, una affermazione presente in sceneggiatura sin dai primi minuti della pellicola ci dà la chiave per aprire le porte della percezione nolaniana: "non cercare di capirlo, sentilo". Si potrebbe interpretare questo messaggio come un consiglio per potersi godere a pieno il film. Il regista di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The Prestige</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> compie una sorta di magia stravolgendo il tempo cinematografico e rappresentandolo in maniera decisamente originale rispetto alle molteplici pellicole che si sono servite dei viaggi tra presente, passato e futuro. I protagonisti del film vanno al contrario, cosi come gli inseguimenti in auto e le pallottole che rientrano in effetto rewind dai vetri rotti. </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 8pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nolan ancora una volta gioca sui piani temporali, siano essi quelli onirici di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Inception</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Insomnia</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, della relatività di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Interstellar</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, dei flashback/forward di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The Prestige</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, della dilatazione di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dunkirk</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e della memoria di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Memento</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Questa volta l'autore azzarda ancora di più riavvolgendo il tempo e mischiandone più livelli per poi snodarli nuovamente all'occorrenza. Questa operazione genera un'opera che non ha precedenti dal punto di vista della messa in scena e che comporta di conseguenza una divisione tra il pubblico: c'è chi ha amato </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tenet</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e chi si è addirittura annoiato. </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il punto di vista del protagonista, sin dal suo primo </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Following</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, risulta essere essenziale per una buona comprensione dell’ultimo lavoro del regista britannico. Come ripetuto più volte dal giovane e talentuoso John David Washington (figlio di Denzel Washington, visto anche nel recente </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Blackkklansman</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, Spike Lee, 2018), lui è il protagonista. Per lo spettatore essere quegli occhi - che siano del protagonista di </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Following</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, di Batman o del giovane Washington - è di fondamentale importanza per seguire delle linee giuda che </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;">possano indirizzarlo verso la risoluzione di un puzzle fatto di tanti piccoli pezzi mischiati in maniera complessa dall'autore per rendere quanto più possibile attivo il ruolo dei presenti in sala.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 8pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L’opera, a questo punto, può essere intesa metaforicamente come una riflessione sull'identità del cinema contemporaneo, prendendo in considerazione i personaggi come raffigurazioni fisiche e simboliche che incarnano il cinema stesso. Il protagonista rappresenta lo spettatore, si ritrova nella stessa esperienza percettiva e sensoriale vivendo in uno stato di inconsapevolezza delle istanze narrative dell'autore. Il sonoro gioca un ruolo fondamentale in questo senso, scandendo i ritmi spesso accelerati con bpm elevatissimi e dinamiche che costantemente scaturiscono balzi di pathos differenti una sequenza dopo l'altra. Anche la scelta del brano </span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The Plan</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> di Travis Scott sui titoli di coda non è casuale. La canzone narra le vicende di un protagonista che si trova a vivere una vita all’insegna delle difficoltà e trova degli escamotage per sopravvivere agli ostacoli della quotidianità. </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 8pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tenet</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> è spionaggio, fantascienza, war movie, rompicapo e c'è persino spazio per il dramma familiare, tutti generi toccati nella filmografia di Nolan che questa volta vengono maestosamente intersecati tra di loro.</span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In conclusione, il regista ci regala un'opera che non si era mai vista prima, una nuova forma della settima arte che oggi, in tempi dominati dai blockbuster e dalla concorrenza di piattaforme che sfornano innumerevoli serie tv, ha più che mai bisogno non solo di protagonisti che salvano il mondo, ma di autori che reinventino il cinema stesso.</span></p>CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-60735240852602819672017-08-21T11:20:00.000+02:002017-08-29T19:36:24.130+02:00ELVIS – IL RE DEL ROCK<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: right;">
<br /></div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: right;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAdSS9dnKWRyVQYwOQsurDh26ejUwko19t2xmSw5mVp4isHKFxiISyz98DjGxbzlZe-hbILzfQyw2bsQJ_1WGgGQHw7gmTzkik8E2FTv70TQM4w2rcb65j50PZ8qWo55rwIMnA7lHUwHY/s1600/elvis_poster_02.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1046" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAdSS9dnKWRyVQYwOQsurDh26ejUwko19t2xmSw5mVp4isHKFxiISyz98DjGxbzlZe-hbILzfQyw2bsQJ_1WGgGQHw7gmTzkik8E2FTv70TQM4w2rcb65j50PZ8qWo55rwIMnA7lHUwHY/s400/elvis_poster_02.jpg" width="261" /></a><span style="font-size: xx-small;"></span><br />
<div style="font-size: small;">
<span style="font-size: xx-small;"><br /></span></div>
<div style="font-size: small;">
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<span style="font-size: xx-small;"><br /></span>
<span style="font-size: xx-small;"><br /></span>
<br />
<h3>
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-size: small;">di John Carpenter</span></span></h3>
<h3>
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-size: small;">con Kurt Russell, Shelley Winters, Season Hubley</span></span></h3>
<h3>
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-size: small;">Genere: Biografico</span></span></h3>
<h3>
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-size: small;">Durata: 157 minuti</span></span></h3>
<h3>
<span style="font-size: xx-small;"><span style="font-size: small;">USA – 1979.</span></span></h3>
</div>
<div style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
<span lang=""><br /></span>
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<span lang=""><br /></span>
<span lang=""><br /></span>
<span lang="">Sono
passati 40 anni dalla morte di <b>Elvis Presley</b>. I tentativi di
raccontare il mito sono innumerevoli, sotto molteplici forme d'arte.
Una su tutte, il cinema. Probabilmente perché, dopo la musica, essa
è stata quella prediletta dal </span><span lang=""><i>Re del Rock</i></span><span lang="">.
Tra gli ultimissimi tentativi, Elvis appare nella serie televisiva
</span><span lang=""><i>Sun Records</i></span><span lang=""> (diretta
da Roland Joffé, trasmessa dalla CMT nel 2017) accanto a Jerry Lee
Lewis, Johnny Cash e Carl Perkins, quello che venne definito il
</span><span lang=""><i>Million Dollar Quartet</i></span><span lang="">.
Andando indietro, nel 2005 la CBS trasmise in due puntate </span><span lang=""><i>Elvis</i></span><span lang="">
(interpretato da </span>Jonathan Rhys-Meyers) con un discreto
successo.
</div>
<div style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
<span lang="">Tra
i primi a cimentarsi nel racconto della vita di Presley, ci fu un
giovanissimo </span><span lang=""><b>John Carpenter</b></span><span lang="">
che nel 1979, esattamente un anno dopo </span><span lang=""><i>Halloween
- La notte delle streghe</i></span><span lang="">, accettò la
proposta di girare </span><span lang=""><i>Elvis - Il re del </i></span><span lang="">rock
trasmesso dalla rete televisiva ABC.</span><span lang="">
Sembrerebbe esserci uno strano legame tra il regista newyorkese ed
Elvis. John Carpenter, infatti, è anche il nome dell'ultimo
personaggio che Presley interpretò per il cinema nel film </span><span lang=""><i>Change
of Habit</i></span><span lang=""> (William A. Graham, 1969).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="">Fu
l'anno che segno la prima collaborazione tra Carpenter e quello che
poi diverrà il suo attore prediletto: </span><span lang=""><b>Kurt
Russell </b></span><span lang="">(con cui lavorò per </span><i>1997:
fuga da New York</i><span style="color: #333333;">,</span> <span lang=""><i>La
cosa</i></span><span lang=""> e <i>Essi vivono</i></span><span lang=""> per citarne alcuni). Se in
America, l'opera diede modo al pubblico di conoscere uno dei registi
più talentuosi dell'epoca e riscosse un notevole successo, in Italia
questo biopic dedicato ad uno dei personaggi più grande di tutti i
tempi è una sorta di caso, oggetto di culto e di discussione per
tutti i fans del regista. Sicuramente non rispecchia i canoni
carpenteriani, l'autore stesso sembra quasi rinnegare l'opera. </span>
<br />
<span lang=""><br /></span></div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
Il film nasce come prodotto
televisivo dalla durata di 157', poi visto il successo ottenuto,
venne riadattato per il cinema in una versione da 119'.<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhasD0XCCVAyUI22u8dkyn63aeD0U6mt-HB68IPS741_AsB7gZ-hyYCSGGzkSLbvWquU2TogtxOQMlaUQX48D3Y8sCns2m-hF4aBlc6JpkS8k4JpBFrz4QoL9sIbWeNYr2u5UcHLrq2J08/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="440" data-original-width="680" height="206" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhasD0XCCVAyUI22u8dkyn63aeD0U6mt-HB68IPS741_AsB7gZ-hyYCSGGzkSLbvWquU2TogtxOQMlaUQX48D3Y8sCns2m-hF4aBlc6JpkS8k4JpBFrz4QoL9sIbWeNYr2u5UcHLrq2J08/s320/1.jpg" width="320" /></a></div>
</div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
La narrazione parte dal concerto
del 26 luglio 1969 a Las Vegas, dove troviamo Elvis perso nei suoi
pensieri, preoccupato per un ritorno sul palco dopo nove anni di
assenza. In Tv un giornalista evidenzia l'ascesa al successo dei
Beatles a discapito del re del rock. Elvis, preso dall'ira, preme il
grilletto e spara al televisore, distruggendolo in mille pezzi. E' da
qui che comincia la sua storia, andando indietro a suon di flashback
cominciando dal 1945, dove troviamo il piccolo Presley strimpellare
la sua chitarra e parlare con il fratellino gemello defunto.
</div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
La bussola di Carpenter sembra
orientata decisamente verso la parte più umana di Presley, in
particolar modo nei rapporti stretti con la madre prima (Shelley
Winters) e con la moglie Priscilla e Lisa Marie poi, a svantaggio
delle sue trasgressioni.
</div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
Nel complesso Carpenter compie
un buon lavoro nel tratteggiare i contrasti caratteriali di Elvis: la
dolcezza unita all'ingenuità, inserendo talvolta sfoghi improvvisi
e poco giustificati; la generosità verso le persone che amava
passando per la sua vita a <b>Graceland</b>, dimora che tutt'oggi è vista
come una sorta di Mecca dai suoi fans. Poi il periodo di leva e
quello trascorso sui set delle decine di film a cui ha preso parte,
da lui stesso considerati robaccia.
</div>
<div style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBseSuDBP9J4rzLmLYkTmIxePyaqaKkYXkv3goLjgAnvLCU_uUVDSEPiKubQT5F5_I253mH1OAWoSVCi2xvb_3NmZ8iSpUxphLMMSvxI088dRuzmyqSW1F7T3NOpDFtQrGms_TYKbSnxg/s1600/Cattura.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="1255" height="157" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBseSuDBP9J4rzLmLYkTmIxePyaqaKkYXkv3goLjgAnvLCU_uUVDSEPiKubQT5F5_I253mH1OAWoSVCi2xvb_3NmZ8iSpUxphLMMSvxI088dRuzmyqSW1F7T3NOpDFtQrGms_TYKbSnxg/s320/Cattura.JPG" width="320" /></a></div>
Il
pregio più grande del film è sicuramente l'interpretazione di Kurt
Russell, perfettamente calato nella parte, convincente e
coinvolgente. Russell (vincitore di un Emmy per la performance) si
preparò con grande meticolosità ad interpretare Presley,
studiandone tutto il materiale video e le canzoni, provando per oltre
150 ore il movimento del bacino che lo rese celebre. Diverse battute
di Elvis nel film provengono da dichiarazioni del cantante stesso, di
cui Russell studia a fondo anche il modo di parlare e le smorfie.
Ciononostante, l'attore non si occupò di cantare, doppiaggio che
venne affidato al cantante country Ronnie McDowell.
</div>
<div style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
Nel
2001 nel film <span lang=""><i>La
Rapina (3000 miles to Graceland, </i></span><span lang="">di
</span>Demian
Lichtenstein),
Kurt Russell si ritrovò nuovamente a vestire i panni di Elvis
Presley.</div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
La coppia di <i>Grosso guaio a
Chinatown</i> (Carpenter/Russell) è riuscita quindi, sin dal suo
primo incontro, a donarci un notevolissimo biopic capace di
soddisfare persino i fans più pretenziosi che, guardando il film,
scopriranno diverse rarità sul loro Re.
</div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: right;">
<i><u>Mimmo Fuggetti</u></i></div>
<br /></div>
<div lang="" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0.35cm; text-align: justify;">
<br />
<br /></div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-28714449109681119012014-03-17T11:44:00.001+01:002014-03-17T11:58:34.136+01:00THE GRAND BUDAPEST HOTEL<div style="text-align: justify;">
Un film di Wes Anderson.
<br />
<br />
Con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, </div>
<div id="attori_continua" style="display: inline;">
Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson</div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdIGvCgzoq7_qmX5Qf-Ndn-8umpEtPKuPeFeLPOlbstUzjCivXuhs9Ojp5EIVhih0Z7BHTe_2TnG53JtSvyKs9mhDkFjWuVqfCYoPPdUKv9VqPBZSBVV1kJtbVB-KUQZM6-WGuNdPcsI8/s1600/index.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdIGvCgzoq7_qmX5Qf-Ndn-8umpEtPKuPeFeLPOlbstUzjCivXuhs9Ojp5EIVhih0Z7BHTe_2TnG53JtSvyKs9mhDkFjWuVqfCYoPPdUKv9VqPBZSBVV1kJtbVB-KUQZM6-WGuNdPcsI8/s1600/index.jpg" height="320" width="215" /></a>
Commedia<b> -
</b>
durata 100 min.
- USA 2014.<br />
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Ci risiamo. Wes Anderson torna con una nuova opera caratterizzata dal suo stile inconfondibile. Il protagonista dell'ultima pellicola del regista texano si chiama Monsieur Gustave, direttore del Grand
Budapest Hotel collocato nell'immaginaria Zubrowka. Ha un rapporto privilegiato con Madame D. che gli affida un preziosissimo quadro. In seguito alla
sua morte, il figlio Dimitri accusa M. Gustave di averla assassinata.
L'uomo finisce in prigione. La complicità che lo lega al suo
giovane "Lobby Boy" (immigrato) Zero gli sarà di grande
aiuto. <br />
Creatore di mondi qual'è, il regista texano questa volta si cimenta in una pellicola dai toni squisitamente classici (l'ironia di Ernst Lubitsch) confezionata dalle sue geometrie. I movimenti di macchina, la fotografia, le musiche, il cast (che continua ad allargarsi come fosse una squadra che acquista nuovi componenti), sono tutti elementi che ormai caratterizzano un autore che si è formato e che continua ad evolversi pellicola dopo pellicola. Tanti sono gli attori che prendono parte in <i>The Grand Budapest Hotel</i>, che, come le innumerevoli stanze dell'albergo, compongono con una perfetta simmetria un'opera che ci regala altissimi momenti di cinema (come la fuga dalla prigione e la sparatoria nell'albergo). </div>
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Ciò che contraddistingue l'opera in questione, cosi come tutto il cinema di Wes Anderson, è la magia del reale che viene immersa nella finzione più estrema. La storia viene raccontata attraverso un lungo flashback. Salti nel tempo nell'immaginario, con personaggi surreali che compongono un quadro squisitamente ironico e dal valore inestimabile. </div>
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Wes Anderson si conferma quindi un autore abilissimo nel ricreare nuovi scenari dove immergerci per riuscire finalmente a vedere un cinema diverso, fatto di simmetrie e richiami ad un passato che rinviene sotto mentite spoglie. Il gusto per il vintage e le scenografie color pastello delineano i movimenti di Ralph Fiennes (straordinario nei panni di M. Gustave) & Co.. </div>
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Come le precedenti opere, anche <i>The Grand Budapest Hotel</i>, si caratterizza per la sua collocazione in un tempo che non ha tempo, i personaggi senza età, adulti che non sono adulti e bambini che si comportano da adulti, tutti elementi che ci trasportano (senza soffermarci a pensare che quella che stiamo guardando è una realtà fantastica) in un mondo che è puro cinema. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-58120049613342835902014-01-28T11:52:00.000+01:002014-01-28T12:23:11.418+01:00THE WOLF OF WALL STREET<div style="text-align: justify;">
di Martin Scorsese</div>
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con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler.</div>
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Biografico - 180 min. </div>
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USA 2013.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWEgOYtJy4Px2TRjI-mIgrDBfFShddXHyHN7LfVSEoKXPRuUBqGzlULkqCv4SK5EQ9wCWlBmkQmHTxHthkKUN3KtrEuGVsOGCXLPsvyjmbh09hpJY6qJq60-EOqloARLy5a8r2omOjM14/s1600/lupo-wall-street-292839.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWEgOYtJy4Px2TRjI-mIgrDBfFShddXHyHN7LfVSEoKXPRuUBqGzlULkqCv4SK5EQ9wCWlBmkQmHTxHthkKUN3KtrEuGVsOGCXLPsvyjmbh09hpJY6qJq60-EOqloARLy5a8r2omOjM14/s1600/lupo-wall-street-292839.jpg" height="320" width="234" /></a></div>
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<i>One Step Beyond</i> per Martin Scorsese. Dopo l'acclamato<i> Hugo Cabret </i>infatti, il cineasta italo-americano torna a regalarci le atmosfere che l'hanno reso celebre, quelle da "bravi ragazzi", per intenderci. Tutto il cinema di Scorsese ricompare in <i>The Wolf of Wall Street </i>(ottenendo ben 5 nomination all'Oscar)<i>. </i>Sembra di rivedere Joe Pesci (in chiave moderna) in Jonah Hill, Ray Liotta negli sguardi in camera dello straordinario Leonardo DiCaprio (alla quinta collaborazione con Scorsese), la fame del lupo come quella di De Niro in <i>Toro Scatenato. </i></div>
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La pellicola racconta la vera storia di Jordan Belfort (basato sul romanzo omonimo dello stesso Belfort) che, dal 19 ottobre 1987, giorno del grande crac di Wall Street, da inizio alla sua esplosiva, maniacale e spregiudicata corsa verso il successo, l'individualismo sfrenato ed una corruzione che va oltre ogni limite, finché un agente federale non comincia ad indagare prepotentemente su di lui e sul suo operato. </div>
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Si ritorna sul pianeta terra quindi, dopo "le voyage dans la lune" nella precedente pellicola scorsesiana e si ritorna ad un cinema fatto di trasgressioni (sesso, droga, eccessi di ogni tipo). Il passo indietro fatto da Scorsese disegna uno studio quasi antropologico sull'avidità umana attraverso l'economia americana. Conoscendo bene il "colore dei soldi", l'autore in questione ci descrive l'eccesso, in ogni sua forma, quel desiderare ossessivamente, ogni volta, qualcosa in più. Tante sono le citazioni, i richiami al suo (e non solo) vecchio cinema e quella voglia di evidenziare costantemente lo spreco americano. Non è di certo un caso la presenza di Jean Dujardin, francese <i>doc, </i>quasi a rappresentare il buon cinema uscito negli ultimi anni nel continente europeo, o ancora, la comparsa dei marinai italiani che dopo il salvataggio sono pronti a far festa sulle note di <i>Gloria </i>di Umberto Tozzi. </div>
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Si avverte la sensazione che Scorsese abbia voglia di denunciare la scarsa qualità del cinema hollywoodiano caratterizzato dall'eccesso, rapportandolo al successo riscontrato negli ultimi anni da parte del cinema europeo. Ma più in generale si tratta di una denuncia al mondo odierno, caratterizzato dal consumismo e dalla corruzione. L'urlo quasi disperato è raffigurato in un rallenti magistrale, come solo lui sa fare (sin dai titoli di testa di <i>Toro Scatenato</i>), che enfatizza questa voglia di rallentare, fermarsi per un attimo e ragionare (anche sulla vendita di una semplice penna). </div>
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<i>The Wolf of Wall Street </i>(o se preferite <i>Goodfellas 2.0</i>), in conclusione, può essere definito come una una sorta di <i>Best Of</i> per il regista italo-americano. Un opera che racchiude tutta la maestria di un autore che non sbaglia un colpo e che con un pizzico di nostalgia ci ricorda che "eravamo bravi ragazzi, ragazzi svegli". </div>
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CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-45156217579784642572014-01-22T15:23:00.000+01:002014-01-22T15:36:43.579+01:00LA GRANDE BELLEZZA E IL SUO BLABLABLA<div style="text-align: justify;">
di Paolo Sorrentino</div>
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con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Isabella Ferrari.</div>
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Italia/Francia</div>
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Drammatico</div>
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142 min.</div>
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<i></i><br />
<i>La grande bellezza</i> di Paolo Sorrentino vince il Golden Globe, ottiene una nomination all'Oscar come miglior film straniero, eppure il pubblico (soprattutto italiano) è come sempre spaccato in due fazioni. Chi è riuscito a dare una sua interpretazione al film tiferà per l'autore partenopeo, gli altri remeranno contro il trionfo italiano per questa stagione cinematografica. <i>
</i>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgZbvRRbS72m1l6ip3L3BG6rpp0rQP3AyrBXlSETp08xowE1iULHYaYF8_5RKUkRxpt5T-zRYailKc4QcFA60_DOVYzU19dSp_HvIUV2liV_8smSVKlsl1JB0ZNbJFyT3SaGUaJb_YNvE/s1600/lagrandebellezza.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgZbvRRbS72m1l6ip3L3BG6rpp0rQP3AyrBXlSETp08xowE1iULHYaYF8_5RKUkRxpt5T-zRYailKc4QcFA60_DOVYzU19dSp_HvIUV2liV_8smSVKlsl1JB0ZNbJFyT3SaGUaJb_YNvE/s1600/lagrandebellezza.jpg" height="320" width="223" /></a></div>
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Non sono qui per scrivere una recensione sull'ultima pellicola sorrentiniana. Credo sia impossibile soffermarsi ad un semplice giudizio critico. Ritengo che questo film sia destinato ad entrare nei libri di scuola del cinema (italiano e non) e sarebbe superfluo commentare con una mia interpretazione l'opera in questione. </div>
<div style="text-align: justify;">
Piuttosto vorrei porre l'accento su alcuni punti cardinali fondamentali del cinema di Paolo Sorrentino. Il tema è sempre lo stesso, i personaggi sono i medesimi, il pubblico che lo apprezza si sta notevolmente ampliando. </div>
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Ci sono troppi elementi per descrivere in due righe un capolavoro come questo. Cinema, letteratura, arte, teatro e quant'altro appaiono tutte come "grandi bellezze" offuscate da quella che comunemente chiamiamo realtà. Il sogno di Fellini viene espressamente dichiarato dal regista partenopeo, ma il regista de<i> La dolce Vita</i> non è l'unico ad essere tirato in ballo da Sorrentino (c'è anche l'esempio del romanzo sul nulla di Flaubert). </div>
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Ciò che Sorrentino mostra nella sua ultima opera è una Roma dall'immensa bellezza agli occhi dei turisti, ma una forte delusione per chi questa città la vive continuamente. Quello che si nasconde e si isola viene risaltato e diviene un tesoro, ricoperto da tanti personaggi (in superficie) in cerca di un autore che finalmente riesce a dare loro gli giusti spazi. Lo spazio e il tempo nei film di Sorrentino, sono fondamentali per la trasmissione di un messaggio che avviene sicuramente tramite la parola. Quel "Blablabla" recitato da Servillo sul finire del film è la stessa parola che Dreyer mette in scena nel suo <i>Ordet</i>. Il ragazzo che muore chiudendo gli occhi in un incidente stradale ricorda il personaggio di Johannes. Tempi diversi, si lascia spazio alla nostalgia (come dichiara Verdone durante il suo spettacolo teatrale) ma ciò che ne resta è il nulla. Nessun miracolo riporterà in vita i personaggi morti nella pellicola. L'uomo in più di Paolo Sorrentino, Jep, quel Servillo che non scrive un romanzo da 40 anni è l'incarnazione della morte. Il suo cuore si è fermato dopo quel passo indietro fatto dalla sua amata e non ha mai più ripreso a battere. Piuttosto, continua a fingere, a recitare. Aspetta che tutti si siedano per poter dare le condoglianze per poi far parlare di se e sentirsi vivo.</div>
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Sorrentino compie la stessa operazione. Ci regala una perla cinematografica che sta facendo parlare di se, in un modo o nell'altro. E' un trucco (probabilmente), quello stesso trucco che Sean Penn (in <i>This Must Be The Place)</i> confessava, ad alcune ragazze in ascensore, per mantenere più a lungo il rossetto sulle labbra ( "il trucco sta nel mettere un pò di cipria sotto il rossetto"), segreto che rivela la vera intenzione di Sorrentino nel ricercare i valori sotto le apparenze. Anche ne <i>La grande bellezza</i> il trucco viene nascosto dai tanti blablabla, un mormorio che il regista partenopeo lascia al suo pubblico, che di conseguenza lo fa suo e lo mette in atto. Quindi la parola passa a noi fruitori di quest'opera dall'immensa bellezza su cui c'è tanto da dire. C'è chi lo ha adorato, chi si spacca la testa contro il muro ma non riceve alcuna vibrazione, chi prova a darne una interpretazione, chi farà il tifo per lui la notte degli Oscar, è normale: sono "le conseguenze" di un autore ormai abituato a far parlare di se. Capolavoro (discutibile).</div>
</div>
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Regia: Francis Lawrence </div>
<div style="text-align: justify;">
Interpreti: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Jena Malone, Elizabeth Banks, Philip Seymour Hoffman </div>
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Usa, 2013 Durata: 146’ </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGWSW9QpxcOg2ou0I1Fa6KVHJU1zlLeb-sf8qtnZm0mS5D1vwyI-VvbtHHka0KwLcCtYOlBGFPKxZTm6ahgDJyoB9jdX1SpFkSEOBafj4vFeYZV-gF-sGakB395MZOeKuxkW9oISXAYfY/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGWSW9QpxcOg2ou0I1Fa6KVHJU1zlLeb-sf8qtnZm0mS5D1vwyI-VvbtHHka0KwLcCtYOlBGFPKxZTm6ahgDJyoB9jdX1SpFkSEOBafj4vFeYZV-gF-sGakB395MZOeKuxkW9oISXAYfY/s320/download.jpg" width="210" /></a>Bentornati signore e signori per un altra edizione degli Hunger Games. Avevamo lasciato la nostra eroina Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence), vincitrice della 74a edizione dei giochi, con il 'tributo' Peeta Mellark (Josh Hutcherson). A distanza di un anno però, i due devono abbandonare i propri familiari e amici per iniziare il "Tour dei Vincitori". Durante il percorso la ragazza sente che la ribellione è vicina e può esserci una svolta decisiva. Ma Capitol City è ancora sotto controllo e il Presidente Snow (Donald Sutherland) sta per preparare la 75a edizione. </div>
<div style="text-align: justify;">
Risaltano subito agli occhi i cambiamenti rispetto al primo capitolo della saga: Philip Seymour Hoffman è il nuovo stratega, la regia passa dalle mani di Gary Ross (<i>Pleasantville</i>) a quelle di Francis Lawrence (<i>Io sono Leggenda</i>) e, essendo il secondo capitolo, non si sente più il bisogno di preparare il pubblico ad esplorare questo nuovo mondo fatto di giochi mortali, piuttosto si lascia più spazio alla ribellione dei distretti. </div>
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Una racconto assolutamente straordinario (la saga è tratta dai romanzi di Suzanne Collins), fatto di colpi di scena, strategie creative e una buona costruzione dei personaggi, ma proprio com'è accaduto per il primo film, la storia si ripete: stiamo parlando di un blockbuster (discutibile anche la scelta di dividere l'ultimo capitolo della trilogia in due pellicole, ancora affidate alla regia di Lawrence). Ancorato a ciò che si è mostrato in precedenza, "Hunger Games 2" non è altro che un prolungamento di ciò che si è già visto. </div>
<div style="text-align: justify;">
Non bastano gli interventi di Lawrence e le nuove strategie di Philip Seymour Hoffman, che provano a metterci del loro, ottenendo semplicemente sforzi inutili e macchinosi. Mettere in gioco lo spettacolo della morte evidenziando nuovamente le scene di combattimento nel bosco; riudire le voci dei personaggi del primo episodio non è semplicemente ciò che accade alla nostra eroina, ma è la stessa sensazione che si prova guardando questo secondo capitolo. Le frecce lanciate dalla Lawrence sono le stesse. Funzionano perché rendono scorrevoli 146', ma l'arma vincente di questa saga resta comunque la storia stessa. </div>
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Proprio come accade per i grandi blockbuster americani, anche <i>Hunger Games - La ragazza di fuoco</i> deve fare i conti con il suo target spettatoriale di riferimento (e qui qualcuno può storcere il naso). </div>
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Ci sarebbe piaciuto rivedere Francis Lawrence mettere in scena tutte le sue abilità registiche, ma questa volta il gioco non vale la candela. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-43217005882622107082013-11-19T14:32:00.001+01:002013-11-19T14:41:30.982+01:00LES REVENANTS: IL RITORNO DI UN CAPOLAVORO<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Les Revenants</i>, serie televisiva francese ideata da Fabrice Gobert (adattamento del film <i>Quelli che ritornano</i> di Robin Campillo, 2004), viene definito da diversi fans un vero e proprio Capolavoro. Altri invece sostengono che si tratti dell'ennesimo tentativo di riportare in vita i morti, cosi come abbiamo già visto svariate volte nelle innumerevoli serie tv e nelle sale cinematografiche.</span><br />
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<span style="font-family: inherit;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgi66dNy_Yv5ZcxG4f3WbrU-29BztOErtwY10Xa3mIZlm-4vTVZiXWQyyspvhgOR6l1f55HxWyquWB03f-eAxyyOf1AZ8SnE1VMxJqkFlADnMdd9lHFvx-tRgv8ncqmLWqdcivMiREBDc/s1600/images+(2).jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgi66dNy_Yv5ZcxG4f3WbrU-29BztOErtwY10Xa3mIZlm-4vTVZiXWQyyspvhgOR6l1f55HxWyquWB03f-eAxyyOf1AZ8SnE1VMxJqkFlADnMdd9lHFvx-tRgv8ncqmLWqdcivMiREBDc/s320/images+(2).jpg" width="320" /></a></span></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Siamo in Francia, in un paesino di montagna, dove diverse persone morte da tempo, ritornano misteriosamente in vita. Tra questi vi sono: Camille (una ragazzina morta in un incidente d'autobus durante una gita scolastica), Simon (un giovane morto il giorno del suo matrimonio), Victor (un bambino dall'aria diabolica che non parla mai) e tanti altri. Intanto, si verificano degli altri strani fenomeni: si interrompe spesso la corrente, si abbassa il livello dell'acqua della diga del paese e compaiono diverse ferite sui corpi dei vivi e dei morti. Il tutto condito da una straordinaria colonna sonora, curata dal gruppo scozzese i Mogwai. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Ricalco o novità quindi? La questione sulla quale si cercherà di mettere luce è se davvero si sente il bisogno di partorire nuovi prodotti seriali sul "ritorno dei morti viventi". Sono tantissimi gli esempi che potremmo riportare a riguardo, sia per quanto riguarda il cinema che per le serie televisive (da <i>Twilight </i>a <i>The Walking Dead</i>). Eppure questa volta la gente pensa di trovarsi davanti a qualcosa di davvero unico, innovativo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Sono passati 23 anni circa da quando un "matto" di nome David Lynch partorì la serie <i>Twin Peaks</i> dando vita a qualcosa di davvero innovativo e rivoluzionario e gli spettatori erano ben consapevoli di trovarsi davanti ad un prodotto che poteva essere definito Capolavoro. Adesso a distanza di anni, in un paesino della Francia, nasce qualcosa che potrebbe essere accostato al lavoro svolto in passato da Lynch. Forse per l'ambientazione <i>Dark</i>, forse per l'aspetto cosi dettagliatamente psicologico dei suoi personaggi o ancora, forse perché ci troviamo davvero a qualcosa di rivoluzionario! </div>
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Allora cos'è che rende <i>Les Revenants</i> così importante da essere definito Capolavoro? </div>
<div style="text-align: justify;">
Cominciamo col sottolineare che ci troviamo in Francia, non più paesini americani, anche se le diverse location che si ripercuotono per tutte le puntate ricordano tanto quelle di <i>Twin Peaks</i>, eppure utilizzate in maniera completamente diversa. I personaggi ritornano in vita, cosi come Gobert ritorna su <i>Twin Peaks</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il <i><b>ritorno </b></i>potrebbe essere un'ottima chiave di lettura per interpretare questo nuovo prodotto seriale. Parafrasando Umberto Eco: " la serie risponde al bisogno infantile, ma non per questo morboso, di riudire sempre la stessa storia, di ritrovarsi consolati dal <b><i>ritorno </i></b>all'identico superficialmente mascherato", <i>Les Revenants</i> adempie perfettamente a tal proposito. Il <b><i>ritorno </i></b>dei morti maschera il <b><i>ritorno </i></b>ad un cinema, o meglio ad una serie rivoluzionaria che a sua volta viene rivoluzionata dall'utilizzo di uno schema completamente nuovo. La scelta è di non rappresentare zombie qualsiasi, ma gente normalissima, con dei sentimenti, che un bel giorno dopo esser stati nell'aldilà tornano a casa senza ricordare nulla di ciò che è successo. I "ritornati" vogliono un'altra occasione, una nuova vita, pur confrontandosi con quella passata. Nessuno spoiler, ma è inevitabile il confronto finale tra morti e vivi schierati l'uno davanti all'altro. Allora <i>Les Revenants</i>, proprio come i suoi protagonisti, compie la stessa operazione, schierandosi faccia a faccia col passato (<i>Twin Peaks</i>?), perché infondo tutti desideriamo il <i><b>ritorno </b></i>di qualcosa che non c'è più, meglio se superficialmente mascherato. Quindi se Capolavoro vuol dire dare vita a qualcosa di completamente nuovo e rivoluzionario, allora la strategia adoperata da <i>Les Revenants</i> può essere catalogata come un Capolavoro, perché siamo <b><i>ritornati</i> </b>a vedere qualcosa di nuovo finalmente. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-41577621405609925202013-07-24T12:37:00.000+02:002013-07-24T13:07:18.195+02:00SE IL NANO DA UNA MANO: L'IMPORTANZA DELLA FIGURA DEL NANO NELLE SERIE TV<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVBpcY1HtOgHgc5HArjEufWUFTaZdvNw7TVG74uf3G5e_9kKglJwicy2PLAcRx1R9jHHePrXBH3TCXAcFSXDcKARyA-NUPZffBFzHGFyBbJHo1YAqn2UpC-mE9-Io-p72j44IPJB_hwWQ/s1600/nano.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVBpcY1HtOgHgc5HArjEufWUFTaZdvNw7TVG74uf3G5e_9kKglJwicy2PLAcRx1R9jHHePrXBH3TCXAcFSXDcKARyA-NUPZffBFzHGFyBbJHo1YAqn2UpC-mE9-Io-p72j44IPJB_hwWQ/s320/nano.jpg" width="320" /></a>Come direbbe Tarantino: "sono i dettagli a fare la differenza". Stiamo parlando di qualcosa che a prima vista potrebbe sfuggire e che magari i più acuti riescono a cogliere. <br />
Piccolo, eppure d'impatto: la figura del nano nelle serie televisive diventa ogni anno più frequente. </div>
<div style="text-align: justify;">
Da dove si potrebbe cominciare? Ah si, partiamo dalla svolta avvenuta nel mondo delle serie tv, quando ad un autore cinematografico venne la folle idea di sperimentare le sue potenzialità attraverso la tv, dando più spazio alle sue visioni, ai suoi enigmi: stiamo parlando di David Lynch. </div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Twin Peaks</i>, infatti, in un certo senso anticipa tutte le altre serie che hanno sfruttato questa tipologia di personaggi. Nel caso seriale made in Lynch, il nano "danzante" appariva in un <u>sogno</u>, dettaglio di importanza notevole se si considera la sua collocazione fittizia o metafisica, se vogliamo. Il nano di <i>Twin Peaks</i> fa da pendolo nella sfida tra il bene e il male e ancor più che nella serie televisiva di Lynch, questo ruolo viene assunto anche da un'altro nano in un'altra opera seriale ideata da Daniel Knauf: <i>Carnivàle</i>. Quest'ultima, sicuramente meno fortunata della precedente, è una serie ambientata nell’America degli anni Trenta e narra le vicende di una compagnia circense nella quale figura un fuggiasco di nome Benjamin Hawkins. Il ragazzo possiede il dono di donare la vita o la morte ed è spesso turbato da <u>sogni</u> profetici, in cui compare
l’inquietante figura di un prete metodista, Padre Justin Crowe. Ma tralasciando il resto della storia, indovinate un pò a chi era affidato il comando della compagnia circense? Si, un nano, ma non uno qualunque, si tratta dello stesso che compariva in <i>Twin Peaks</i> (Michael J. Anderson). Proseguendo sulla stessa scia, si arriva alla fortunatissima serie televisiva <i>Streghe</i>, dove le sexy sorelle Halliwell sono alle prese ancora una volta in uno scontro tra il bene e il male e di volta in volta si ritrovano catapultate in diversi paesaggi fiabeschi e anche in questo caso, la figura del nano è sempre presente (vedi l'arcobaleno che compare con i bastoni dei nani).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma proviamo a spingerci verso i giorni nostri e ad analizzare le serie cult del momento. </div>
<div style="text-align: justify;">
Ci troviamo nell'era digitale, dove ogni puntata è ormai alla portata di un semplice click, quindi più che di serie televisive, siamo ben consapevoli di parlare di "serie streaming". Dove voglio arrivare? Oggi le serie tv si sono moltiplicate e ognuna di loro si caratterizza per alcuni tratti originali e d'impatto. Le major sfornano nuovi prodotti seriali in continuazione e la gente è arrivata a seguire più serie contemporaneamente proprio grazie alla sua semplicissima reperibilità. Tra gli innumerevoli prodotti seriali partoriti negli ultimi anni, spiccano due titoli interessanti che rientrano perfettamente nella nostra analisi:<i> Once Upon a Time</i> e <i>Game of Thrones</i>. Nel primo caso l'atmosfera fiabesca è espressamente visibile trattandosi dei personaggi delle fiabe che vengono catapultati nel mondo "reale" a causa di un sortilegio fatto dalla regina cattiva di Biancaneve (ma guarda un pò, proprio lei). Di conseguenza, essendo l'amatissima Snow White una delle protagoniste della serie, risulta quindi fondamentale l'aiuto dei sette nani. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nel secondo caso, invece, ci troviamo davanti ad una atmosfera decisamente più mitologica, dove la figura del nano (Peter Dinklage, che comparve anche in <i>Nip/Tuck</i>) viene accostata a quella della "pecora nera" della famiglia dei Lannister.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sarà un caso, o forse no, ma i nani oggi risultano sempre più frequenti nei prodotti seriali. </div>
<div style="text-align: justify;">
Piccoli come dettagli (tornando alla citazione tarantiniana), saranno proprio loro a fare la differenza? </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-31185360665713990332013-06-02T11:33:00.001+02:002013-06-02T11:33:34.503+02:00 COSMOPOLIS E L’IPER-CRONENBERG (di Mimmo Fuggetti)<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0ll3ZpSjIuTqiHCg1nvyOVjCXeClLplRvhZXh27KJaDn6HSFB3OVl4KWb-R8-mty8AHiEUqtenosCEB2p8D0yf4Quec2tBArljsrmsnFTgdfnBBYh3_oQ7joJPKHT5eWd_whc0ATFMvI/s1600/cosmopolis.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0ll3ZpSjIuTqiHCg1nvyOVjCXeClLplRvhZXh27KJaDn6HSFB3OVl4KWb-R8-mty8AHiEUqtenosCEB2p8D0yf4Quec2tBArljsrmsnFTgdfnBBYh3_oQ7joJPKHT5eWd_whc0ATFMvI/s400/cosmopolis.jpg" width="400" /></a></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 115%;">INTRODUZIONE<o:p></o:p></span></u></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> “Tutto nelle nostre
vite ci ha portato a questo momento”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Benno Levin (in Cosmopolis)<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Sono passati ben
37 anni da quando David Cronenberg diede luce ad un' opera intitolata <i>Il
demone sotto la pelle</i>. Oggi quello stesso demone non si accontenta più di
restare rinchiuso, il topo che strisciava nelle fogne è finalmente venuto fuori
e prepotentemente acquista valore. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
David Cronenberg
nasce a Toronto il 15 marzo del 1943, da una famiglia ebraica e in questa stessa città si innamora del cinema,
privilegiando quello europeo a quello americano. L’influenza del posto in cui
nasce e cresce gioca un ruolo fondamentale per la formazione cinematografica
del regista canadese. Come egli stesso sostiene, in Canada si vive come paralizzati
dietro una frontiera, non ci si muove, a differenza di quanto accade in
America. Proprio questa <i>immobilità </i>esplicitata
da Cronenberg prende vita nelle sue opere, accostandosi alla <i>mutazione</i>: i suoi film restano stabili
per quanto riguarda le tematiche, eppure presentano diverse forme di mutazione.
Il paradosso di questo autore è racchiuso in questo desiderio, quello di
discostarsi dall’immobilità canadese, dalle proprie radici, senza però rinnegarle,
ma piuttosto manifestandolo attraverso molteplici forme di mutazione. Il suo
cinema deve tanto alla città di Toronto, in particolare le sue prime opere.
Gianni Canova prova a mettere luce sulla crescita e sull’influenza del regista
canadese:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraph" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Cronenberg
non è semplicemente canadese. E’ di Toronto. Vi nasce il 15 marzo 1943, in una
famiglia ebrea composta da un padre giornalista-scrittore e da una madre
musicista. A Toronto Cronenberg frequenta il liceo, studia all’università, si
laurea in letteratura inglese. E’ a Toronto si innamora del cinema: non tanto
di quello spettacolare e hollywoodiano (che pure conosce molto bene), quanto di
quello che egli stesso definisce “oscuro” e che comprende autori europei come
Jancsò e Resnais, Bergman e Antonioni. Toronto non è una città qualunque. Vi
insegna Marshall McLhuan. E vi si rifugia un ribelle transfuga dagli Usa come William Gibson, che proprio nella città
di Cronenberg licenzia il suo primo romanzo nel 1983. […] Forse una vocazione
come quella di Cronenberg, indecisa tra l’entomologia (mosche, scarafaggi,
millepiedi) e la letteratura (Burroughs, ma anche Nabokov, Henry Miller,
Beckett), oscillante fra la facoltà di scienze e quella di Belle Lettere, è più
possibile a Toronto che a Los Angeles o Detroit. Forse il <i>genius loci</i> non è solo un’invenzione dei romantici o degli
antropologi della cultura. Comunque sia, quel che è certo è che il cinema di
Cronenberg – almeno quello degli esordi – deve molto a Toronto: alle sue
architetture, ai suoi edifici, alla sua luce. A quell’atmosfera di ordine
apparente che nasconde un disordine strisciante fatto di impulsi repressi e di
bisogni insoddisfatti. (Canova, 2007 : 14)<i>
<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La questione del
Canada viene analizzata anche da Marshall McLuhan, ponendo l’accento sulla
qualità canadese nell’essere più predisposto, rispetto ad altri paesi, all’<i>ecumenismo politico </i>dell’era elettronica
che ha portato alla formazione del <i>villaggio
globale</i>. Il canadese Cronenberg quindi sembra voler manifestare le sue
influenze culturali nelle sue pellicole. Uno dei temi centrali che possiamo
riscontrare in tutta la sua filmografia è quindi quello della mutazione. Ma che tipo di mutazione avviene nel cinema di
Cronenberg? E cosa è dovuta? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Si cercherà
quindi di rispondere a questi interrogativi attraverso l’analisi del film <i>Cosmopolis</i>, allacciandoci alle
precedenti opere del regista canadese, riscontrando quanto sia presente la sua
cultura nell’intera filmografia. <o:p></o:p></div>
<span style="font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 150%; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin; mso-hansi-theme-font: minor-latin;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 150%;">CAPITOLO 1</span></u></b><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<b><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 150%;">LA MINACCIA<o:p></o:p></span></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"> “lui è in giro ed è armato”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<b><i>Benno
Levin (in Cosmopolis)<o:p></o:p></i></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Una
particolarità del cinema di David Cronenberg sta nel fatto che i suoi film
cominciano quando tutto è già successo e qualcos’altro sta accadendo: la <i>mutazione</i>. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Sotto alcuni
aspetti, Cronenberg, può considerarsi l’erede di Buñuel, in quanto anche il
regista canadese decide di dare un “taglio” al mondo che conosciamo per
mostrarci altri mondi creati dall’immaginario fantastico. La cultura canadese
infatti, sente il bisogno di dare un’impronta al proprio cinema, che possa
essere un cinema di inventiva e in questo senso Cronenberg cerca quella potenza
che dà libero sfogo all’immaginazione. Nella prova operata dalle classi
dirigenti del Canada, di creare una cultura nazionale concorde, che potesse
fungere da diga all’invadenza americana, il cinema ha giocato un ruolo molto
importante. Diversi registi sono emigrati negli Stati Uniti, altri hanno
preferito rimanere attaccati alle loro origini e remare contro il predominio
americano. David Cronenberg è uno di questi. Il risultato finale è che il
cinema canadese vive una realtà agitata, divisa tra l’integrazione ad Hollywood
e l’affermarsi di una cultura “distrettuale” molto competitiva, anche se
minoritaria. Quindi la minaccia avvertita dal Canada deriva proprio dal
predominio hollywoodiano e dalla sua identità fragile ed eterogenea:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Qui
forse conviene ricordare quanto scritto da Sacvan Bercovitch, il grande
studioso di cultura americana (nato tra l’altro in Canada). Vale a dire: il
Canada rappresenta un caso a sé stante di nazione senza una mitologia che la
fondi. Gli Stati Uniti d’America hanno sempre costruito la loro grandezza sulle
basi di un ben preciso rituale di consenso, attraverso un mito consolidato
storicamente che, pur nelle sue pretese imperialistiche e di superiorità, ha
permesso a ciascuno dei loro abitanti di potersi riferire ad una identità
“americana”. Il Canada sembra invece sempre vincolato a una perenne condizione
di “colonia”, di paese privato di un gesto di appropriazione simbolica nella
costruzione di una identità, al punto da caratterizzarsi soprattutto per una
sorta di “retorica dell’assenza”: l’essere al tempo stesso non europeo, non
americano, non indiano (non armeno…), non mitologico. […] Il problema, semmai,
è che questa Storia e questa mitologia è come se non fossero mai esistiti. (Michele
Fadda, 1999 : 65)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
David Cronenberg
paragona il capitalismo alla malattia dell’AIDS cosi come quest’ultima veniva
paragonata ad altre tipologie di virus che contaminavano i personaggi che
compongono la filmografia del regista canadese. Quindi per comprendere questa
condizione prettamente canadese che è restia all’integrazione hollywoodiana
(come se non volesse essere contagiata dal virus) allacciandoci al capitalismo
trattato da Cronenberg in <i>Cosmopolis</i>,
può risultare d’aiuto quanto scritto da Andrew Parker:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<span lang="EN-US">This universalizing idiom is itself
the reflection of Canada’s position in the capitalist world system: a Canadian
filmmaker whose primary market is the United States may think himself <i>compelled</i> to efface in his work all
signs of national difference. This conflict between the universal and the
singular cuts deeply throughout Cronenberg’s career. Thinking of his early days
as a filmmaker, he describes how “it was different in Canada, as always. We
wanted to by-pass the Hollywood system because it wasn’t ours. We didn’t have
access to it. It wasn’t because we hated it, but because we didn’t have an
equivalent, and we didn’t have the thing itself”. </span>(Parker, 1993 : 220)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Da quanto
riportato, è avvistabile l’atteggiamento assunto dal Canada e la spaccatura che
si è venuta a creare tra la sua popolazione. La minaccia avvertita dal Canada,
quindi, è quella del mondo hollywoodiano, un virus potentissimo che entra in
circolazione nelle vene della cultura canadese. Su questo punto può essere
d’aiuto quanto scritto da Andrea Giaime Alonge che evidenzia l’approdo di
Cronenberg alla <i>mutazione</i>:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraph" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il
racconto fantastico, per sua natura, è sordo alle ragioni della verità storica
e geografica. Ma se il Canada di Cronenberg è un’entità evanescente, gli
avvenimenti che hanno luogo in questo <i>territorio
di grado zero</i> recano traccia di una delle principali ossessioni canadesi:
la paura della mutazione, della strisciante invasione lanciata dagli Stati
Uniti che, lentamente ma inesorabilmente, trasforma i canadesi in americani.
L’opera di Cronenberg gravita attorno al tema dell’alterazione del corpo e/o
della mente in qualcosa di radicalmente <i>altro</i>.
Il risultato della trasformazione è un <i>monstrum</i>:
un essere dai poteri sovraumani; un individuo regredito alla condizione ferina,
preda dei propri istinti; un ibrido tra l’uomo e la macchina (<i>Videodrome</i>), oppure tra l’uomo e
l’animale (<i>La mosca</i>). (Giaime Alonge,
1997 : 52)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La paura della
contaminazione ha quindi spinto il regista canadese a concentrare il suo cinema
sulla tematica della mutazione. Le molteplici forme di mutamento, uomo/macchina
o uomo/animale, sono riscontrabili nella sua filmografia. Se nel suo primo
cinema, infatti, David Cronenberg si concentrava più sulla trasformazione
corporea del personaggio, adesso sembra spostarsi più verso l’aspetto
psicologico con i suoi ultimi due lavori: <i>A
Dangerous Method</i> e <i>Cosmopolis</i>. La
mutazione percepibile in queste due opere è strettamente legata ai cambiamenti
sociali. Nel primo caso, il triangolo Freud-Jung-Sabina ci mostra la nascita
della psicoanalisi, del cinema e dell’uomo contemporaneo. In <i>Cosmopolis</i>, invece, viene messa in scena
la fine di quell’epoca raffigurata nella pellicola precedente e la catastrofe
del capitalismo. Cronenberg sembra essere approdato ad un punto di non ritorno:
l’apocalisse è vicina e il capitalismo incombe prepotentemente su di noi come un
virus dal quale non si può guarire. Roy Menarini sottolinea come il regista
canadese abbia mostrato la mutazione psicologica in questi due film, pur non
abbandonando l’importanza dei corpi:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Già <i>A
Dangerous Method</i> possedeva un lato di gag glaciali e sotterranee tra
Freud e Jung. Qui, dove si discetta di capitalismo e crisi, Karl Marx sembra
trascolorare in Groucho (un logorroico, guarda caso) e la torta in faccia, le
scenette quasi slapstick fuori dal finestrino dell’auto, il catalogo di ospiti
bislacchi nella limousine del ricco protagonista lasciano pochi dubbi. In
fondo, come spiega la sequenza finale, l’andamento della moneta segue le
asimmetrie dell’anatomia umana. Tutto è corpo, secondo l’antico cantore della
nuova carne, Cronenberg, anche se da qualche anno pare interessato, con ghigno
brechtiano, a riscrivere la storia psicologica dell’uomo moderno occidentale.<o:p></o:p></div>
<div align="right" class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="line-height: 150%; text-align: right;">
(Menarini, 2012 :
http://www.mymovies.it/film/2012/cosmopolis/news/ilcorpoedenarofirmatocronenberg)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Probabilmente,
l’interesse che David Cronenberg prova verso l’aspetto psicologico è strettamente
collegato quindi al cambiamento sociale del mondo odierno. L’operazione che il
regista canadese compie nei suoi film sta proprio nella divisione tra mente e
corpo. Come egli stesso sostiene:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Buona
parte del pensiero filosofico più elevato ruota attorno all’impossibile
dualismo di corpo e mente… la base dell’horror – e della difficoltà della vita
in generale – consiste nel fatto che non possiamo comprendere in che modo si
muore. Come mai una mente sana dovrebbe morire, solo perché il corpo non è
sano? Sembra che in questo ci sia qualcosa di sbagliato. (Dery, 1997 : 262)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La mutazione che
avviene nei suoi personaggi è sintomo di una malattia causata da un contagio (identificabile
con gli Stati Uniti). Il capitalismo raffigurato in <i>Cosmopolis</i> può essere l’esatta spiegazione di ciò che il regista
canadese ha sempre raffigurato nelle sue pellicole: un virus che infetta i suoi
personaggi e che provoca la malattia. <o:p></o:p></div>
<span style="font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 150%; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin; mso-hansi-theme-font: minor-latin;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 150%;">CAPITOLO 2<o:p></o:p></span></u></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<b><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 150%;">IL VIRUS IN COSMOPOLIS<o:p></o:p></span></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"> “ Il futuro è impaziente, accadrà presto qualcosa,
forse oggi”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<b><i>Didi
Fancher (in Cosmopolis)</i><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il giovane e
potentissimo guru della finanza Eric Packer (interpretato da Robert Pattinson)
attraversa molto lentamente la città di New York per un semplice capriccio:
aggiustare il suo taglio di capelli. Gli uomini della sicurezza a sua
disposizione lo avvertono delle minacce incombenti sulla sua persona e del
frenetico caos che regna per le strade della Grande Mela a causa della visita
del Presidente degli Stati Uniti. Malgrado tutto, il testardo Pattinson decide
di ritornare dal suo parrucchiere di fiducia, lo stesso con cui chiacchierava
da piccolino in compagnia di suo padre. Ed è proprio questo il perno
cinematografico dell'opera: il ritorno. Cronenberg torna al suo amato cinema
dominato dalla mutazione, dalla morte, dal virus della società americana,
quello stesso virus che il regista canadese da tanto tempo, inesorabilmente,
tratta come una contaminazione alla quale è impossibile sfuggire. Il
personaggio principale, interpretato da Robert Pattinson, si presenta arrogante
e sicuro di se, proprio come tutti i protagonisti del cinema di Cronenberg, ma
con lo sviluppo della storia, ci si renderà conto della sua fragilità e della
sua instabilità:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; margin-left: 20.25pt; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="line-height: 150%; margin-left: 20.25pt; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
In tutta la mia opera ricorre il tema
della mutazione. Che è poi il tema dell’identità, della sua fragilità.
All’inizio di quasi tutti i miei film i personaggi danno l’impressione di aver
fiducia in se stessi, di sapere dove stanno andando. C’è in essi una sorta di
arroganza: credono che il futuro sarà esattamente come essi hanno previsto.
Ognuno di noi, del resto, ha questa forma di arroganza. Ma quando interviene
l’imprevisto, l’idea che noi avevamo della realtà si rivela diversa dalla
realtà stessa, ed ecco il caos, il disastro. Allora il nostro senso della
stabilità vacilla, assieme alla nostra fiducia in essa. Questo processo si
ritrova in ogni mio film. Come in Il pasto nudo, io cerco sempre di mostrare
quel momento unico e bloccato in cui ciascuno vede ciò che c’è sulla punta
della sua forchetta: cioè quel momento in cui ci si rende conto che la realtà
non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le altre possibilità. (Canova,
2007 : 8)<i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="line-height: 150%; margin-left: 20.25pt; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; margin-left: 20.25pt; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<i>Cosmopolis</i> (tratto
dall'omonimo romanzo di Don DeLillo che Cronenberg stesso ha dichiarato come
un’opera scritta per un suo film) va’ però oltre ciò che David Cronenberg ha
tentato di mostrarci sino ad oggi, questa volta ci troviamo davvero in un punto
di non ritorno. Eric è un costrutto della società capitalista americana, vive
nel suo mondo (la limousine), parla la stessa lingua di tutti i personaggi che
incontrerà, ma gli argomenti trattati fluttuano nell'aria e restano scostanti. Nel
film, Robert Pattinson cerca quel ritorno ad uno stato primordiale senza alcuna
contaminazione sociale che però, secondo Cronenberg, non può esserci. Nel caso
di <i>Cosmopolis</i>, un ruolo fondamentale
lo ricopre la cybercultura e lo sfondo di un era ormai ipertecnologica:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La
dichiarazione fatta da Marshall McLuhan nel 1967, secondo cui i media
elettronici ci hanno gettato in un confuso e frenetico “mondo di simultaneità”
in cui le informazioni “si riversano su di noi, in modo istantaneo e continuo”,
e talvolta ci sopraffanno, è oggi più vera di quanto non lo sia mai stata”. La
vertiginosa accelerazione dell’America postbellica è stata prodotta quasi per
intero dal computer, la macchina informativa che ci ha spinto fuori dall’età
del capitalismo della produzione materiale scagliandoci nell’era del
capitalismo postindustriale multinazionale. (Dery, 1997 : 9)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La vertiginosa
accelerazione, ma se vogliamo anche mutazione, subita dall’America è uno dei
punti chiave del film di Cronenberg. Alle vicende del protagonista, fa da
sfondo un’era completamente modernizzata che ipotizza anzi, un futuro
ipertecnologico che rappresenta un
incubo gravante già nel nostro presente. Eric, quindi, percorre la sua via
crucis che lo condurrà verso la morte, una morte che però si manifesta sin dai
primi minuti del film percepibile sotto ogni desiderio impossibile del
protagonista. Sesso, potere, trasgressione, bellezza sono elementi che Eric
possiede, ma ogni qual volta desidera qualcosa, questo suo desiderio risulta
impossibile da soddisfare, come il voler far sesso con sua moglie, possedere la
Rothko Chapel: la felicità è lì davanti, ad un passo da lui, ma non può essere
toccata. Il punto di non ritorno è raffigurato dall'insoddisfazione del
protagonista, quella bellezza che veste i panni del terrore e del disgusto, una
nuova frontiera della trasgressione, raffigurata dall' <i>iper</i>, dal <i>post</i>.
Il male incombe sul mondo odierno, il virus è ovunque, il contagio c'è già
stato: si può decidere di imbottire una limousine di sughero, al suo interno,
quanto si desidera, ma non servirà ad esternare i rumori caotici del mondo in
cui si vive. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
L’operazione
compiuta da Cronenberg in questa pellicola è la stessa fatta diversi anni prima
con le sue prime opere. Il virus americano contagia la società canadese, cosi
come il capitalismo ha portato caos e distruzione nel mondo odierno. Il
cambiamento dovuto alla contaminazione può essere manifestato in modalità
diverse nelle pellicole del regista canadese. Nel caso di <i>Cosmopolis</i>, Cronenberg (ma come lui anche lo stesso Don DeLillo)
pone l’accento sull’importanza del denaro e su come questo cambia il mondo. A
tal proposito è possibile constatare una influenza proveniente dagli scritti
del canadese Marshall McLuhan riguardo l’importanza della moneta e su come
questa ha trasformato la società e la comunicazione:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
La
folla di persone e le pile di soldi non soltanto tendono all’accrescimento, ma
generano inquietudine sulla possibilità di una disintegrazione e di una
deflazione. Il movimento in due sensi dell’espansione e della deflazione sembra
la causa del nervosismo delle folle e dell’inquietudine che s’accompagna alla
ricchezza. […] Al deprezzamento del marco s’accompagnò parallelamente quello
del cittadino. Si ebbe una perdita di dignità e di valore, nella quale le unità
personali si confusero con quelle monetarie. (McLuhan, trad. 1992)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Nel futuro (che
potrebbe essere rapportato quindi al nostro presente) di <i>Cosmopolis</i>, il topo diventa lo strumento di protesta, inteso come
nuova unità monetaria. Il concetto espresso da Marshall McLuhan è di
fondamentale aiuto per comprendere quanto il denaro abbia plasmato l’individuo
contemporaneo, conducendolo verso la pazzia e il caos totale. David Cronenberg
esalta la mutazione avvenuta a causa del denaro con sequenze che rimandano ad
un pensiero apocalittico (ad esempio la scena in cui la gente si ribella mostrando
un ratto gigante per le vie di New York mentre Eric è dentro la sua Limousine
che intanto viene graffita dai manifestanti). Nella sceneggiatura del film,
compare una frase pronunciata dal protagonista, che potrebbe racchiudere il
significato di quanto analizzato sino ad ora: “la logica evoluzione degli
affari è l’omicidio”. Probabilmente l’omicidio che intende Eric nel film è da
accostarsi al denaro stesso: il capitale conduce alla morte. Per questo motivo
il topo assume un ruolo significativo nel film, in quanto rappresenta una sorta
di formattazione del sistema sociale che possa condurre alla costruzione di una
nuova vita:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Man
mano che il millennio si avvicina, possiamo notare la convergenza tra quella
che Leo Marx ha chiamato “la retorica del sublime tecnologico” – inni al
progresso che si innalzano “come spuma su un’onda di esuberante stima per se
stessi, che ricopre tutti i timori, i problemi e le contraddizioni” – e
l’escatologia che , in un modo o nell’altro, ha strutturato il pensiero
occidentale lungo tutta la sua storia: il secondo avvento giudaico-cristiano,
il mito capitalistico del progresso infinito, la concezione marxista del
necessario trionfo del proletariato sulla borghesia. (Dery, 1997 : 16)<o:p></o:p></div>
<span style="font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 150%; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin; mso-hansi-theme-font: minor-latin;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 150%;">CAPITOLO 3<o:p></o:p></span></u></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<b><span style="font-size: 16.0pt; line-height: 150%;">LA SOLUZIONE <o:p></o:p></span></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"> “Distruggere il passato, creare il futuro.”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; tab-stops: 409.5pt; text-align: right;">
<b><i>Elise Shifrin</i></b><b><i> (in
Cosmopolis)</i></b><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il cinema può
rimandare ad un pensiero di chirurgia: quel fare a pezzi il corpo come
fossero frammenti di inquadrature
accorpate attraverso il montaggio. Il cinema di David Cronenberg è pieno di
scienziati (pazzi il più delle volte) e soprattutto di medici. Questi
personaggi ci spingono a pensare alla questione della malattia. L’autopsia
privilegia quella forma intellettuale mediata dalla vista. La questione del
corpo e dello squarto è strettamente legata a quella della morte. Nel film <i>Inseparabili</i> vi è l’esaltazione della
bellezza interiore del corpo (inteso come organi) e questa prospettiva ci
conduce verso l’esplorazione della bellezza e del piacere per l’invisibile. Lo
spostamento dell’interesse per l’estatica di Cronenberg è presente in <i>Cosmopolis</i> ed è riscontrabile nella
scelta dello spazio. L’unico spazio significativo nell’opera può ricondursi
all’automobile (una limousine bianca dalla bellezza estetica indiscutibile, ma
ciò che interessa al regista canadese è ciò che c’è al suo interno), il mezzo
con cui avviene la mediazione tra Eric e il mondo che lo circonda. E’ proprio
nella limousine che avvengono tutti gli incontri rilevanti per il protagonista.
Sesso, alimentazione, defecazione, contatti, relazioni, dialoghi e soprattutto
visite mediche, sono tutti elementi che si verificano all’interno dell’auto. Si
tratta quindi di uno spazio che è un non-luogo eppure attraverso il movimento è
ovunque, proprio come le vie informatiche, ormai fondamentali per l’uomo come
la stessa aria che respira. Ancora quindi l’importanza della scienza e dello
sviluppo tecnologico in quest’opera di Cronenberg che fa da sfondo al tema del
denaro e a come sta plasmando il mondo. La mutazione, come in tutti i film
dell’autore canadese, è quindi la causa della malattia che incombe sui
protagonisti delle sue opere. Eric Packer sembra compiere un viaggio negli
inferi, dove ad attenderlo vi è la sua perdita dell’identità, la dissoluzione
della sua stessa natura:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Oggi,
più di quarant’anni dopo le preveggenti osservazioni di McLuhan a proposito
delle “immagini di sesso, tecnologia e morte, che spesso si presentano a
grappoli”, la cybercultura è satura di questi temi interconnessi:
l’esorcizzazione delle macchine, il sesso mediato dalla tecnologia, il sesso
con la tecnologia e il reinstradamento dei desideri carnali in orge di
distruzione high tech. (Dery, 1997 : 207)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Per dissoluzione
della sua natura quindi, si può intendere quella perdita di identità d’origine.
Tale perdita, in <i>Cosmopolis</i>, è dovuta
all’interazione tra sesso e tecnologia che, unendosi, fanno di Eric una sorta
di mutante/mostrum:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Marshall
McLuhan, scrivendo nel 1951, ha definito “una delle caratteristiche più
peculiari del nostro mondo: l’interazione tra sesso e tecnologia”. Questa
bizzarra unione, secondo ;cLuhan nasce da “un’avida curiosità, da un lato, di
esplorare e dall’altro, di possedere la macchina in un modo sessualmente
gratificante”. Il secondo motivo, che McLuhan esplora solo di passaggio, è
stato raccolto dalla cybercultura, che l’ha allargamente incorporato nelle sue
fantasie collettive. (Dery, 1997 : 207)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
David Cronenberg
sin dal 1996 con il film <i>Crash</i>, portò
sul grande schermo l’ibridazione tra sesso e tecnologia: quasi esclusivamente
tutti gli atti sessuali si svolgevano all’interno delle automobili e se cosi
non era, l’atto perdeva la sua attrattività. Sotto questo punto di vista
quindi, Crash riprende alla perfezione il “triangolo” trattato da Marshall
McLuhan (sesso, tecnologia e morte) e <i>Cosmopolis</i>
può considerarsi un’opera che riprende gli stessi temi trattati dal regista
canadese in precedenza. La morte quindi è sempre incombente sui protagonisti di
Cronenberg e anche in questo caso, Eric è un costrutto del suo tempo e della
sua cultura. Gran parte dei personaggi cronenberghiani inoltre sono dei veri e
propri narcisisti e le macchine per il sesso possono rappresentare uno specchio
che attraverso il suo riflesso fortificano il senso maschile dell’io:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il
risultato è un circuito chiuso narcisistico che assomiglia a quello che lo
psichiatra freudiano Jaques Lacan chiamava lo “stadio dello specchio” dello
sviluppo psicologico, la fase della prima infanzia in cui il bambino arriva a
riconoscersi nello specchio e comincia a formarsi un’immagine integrata di sé.
Arriviamo al senso di un ‘io’ scoprendo quest’ ’io’ che ci viene riflesso da
qualche oggetto o persona del mondo esterno”, spiega Terry Eagleton nella sua
discussione di Lacan. “Questo oggetto è in qualche modo parte di noi – noi ci
identifichiamo con lui – eppure non è in noi, è qualcosa di alieno. (Dery,
1997: 218)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
L’inizio di <i>Cosmopolis</i> ci apre le porte verso questa
lettura: il capriccio del protagonista del film (vuole aggiustare il suo taglio
di capelli) lo introduce come un personaggio che cura molto il suo aspetto e in
seguito, attraverso i dialoghi, le vicende e i suoi atteggiamenti, scopriamo
quanto narcisismo ci sia in lui. I film di David Cronenberg possono essere
considerati come anelli che compongono una lunga catena di esplorazioni
psicologiche e filosofiche. Egli analizza la metafisica attraverso la fisica e,
sezionando corpo e mente e la relazione che intercorre tra questi, cerca di svelare
la psiche ed esaminarla attraverso uno “specchio”. Questo personaggio, quindi,
vive all’interno della sua auto dove può specchiarsi e ammirare la sua
eccellenza e all’interno di quell’auto avvengono, come descritto in precedenza,
la maggior parte degli incontri. Tra questi vi è anche la figura di un medico,
il quale informa Eric che la sua prostata è asimmetrica. L’interrogativo,
quindi, sulla salvezza del protagonista, o meglio dei protagonisti dei film di
Cronenberg può forse essere legata alle figure dei medici? Esiste allora un
modo per Eric di salvare la sua anima dalla minaccia imminente? Probabilmente,
però, il vero medico del film è proprio il protagonista Eric Packer. Questo è supponibile
durante lo “scontro finale” con Benno Levin (interpretato dall’attore Paul
Giamatti) dove i due personaggi si confrontano con un ‘faccia a faccia’.
Nell’epilogo filmico che potremmo definire a tratti surreale, infatti, si può
notare quanto Benno odia Eric, odia ciò che egli rappresenta ed è deciso
ad ucciderlo ad ogni costo, forse perché questa potrebbe essere l’unica
guarigione alla sua malattia. Il rapporto che intercorre tra i due personaggi
potrebbe essere peccatore/prete,
paziente/medico, e rappresenta l’emblema di tutto il cinema cronenberghiano. “Tu
dovevi salvarmi” confessa Benno ad Eric, ma l’ultima pellicola del regista
canadese non accetta vie di fuga, come dal resto tutta la sua filmografia.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il film è ricco di dialoghi: parole su parole
che conducono ad altre parole e che convogliano verso un’unica strada
rappresentata dal nulla. Ed è proprio qui che si può scorgere quest’ultima
mutazione messa in scena da Cronenberg: la perdita della presenza reale in un’umanità
disincarnata, raffigurata già dal <i>post</i>, appunto. David Cronenberg
trattò il cyberspazio in <i>Videodrome</i>,
poi ripreso (e forse potenziato) con <i>ExistenZ</i>.
Con il film <i>Cosmopolis</i>, il regista
canadese riprende il tema dell’ibridazione tra uomo e macchina e lo amplifica
approdando al tema dell’<i>iper</i>. Su
questo tema Gualtiero De Marinis prova a descrivere il lavoro compiuto da
Cronenberg e evidenzia l’importanza della sua cultura canadese, la quale lo ha
condotto ad affrontare questa tematica:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Insomma
realizza finalmente che la televisione è tattile. (McLuhan, <i>encore</i>). E che “La tattilità non ha più
il senso organico del toccare: implica semplicemente la contiguità epidermica
dell’occhio e dell’immagine, la fine della distanza estetica dello sguardo”.
(Baudrillard, <i>cette fois</i>). […] Se lo
schermo televisivo è dunque la retina dell’occhio della mente, la cassetta è
naturalmente il suo alimento. Abbiamo esteriorizzato nei media dei pezzi del
nostro corpo e nel far questo siamo entrati a far parte di una grande rete
neurale (è cosi che si chiamano certi sistemi di computer) che è anche’ essa
un’esteriorizzazione del nostro sistema nervoso centrale. […] Sarà che in
Canada è nato McLuhan e lì ha insegnato e spiegato al mondo che ogni medium è
un’estensione del nostro corpo, in particolare, nel caso delle tecnologie
telematiche, un’esteriorizzazione del nostro sistema nervoso. Sarà che in
Canada Gibson ha scritto <i>Neuromancer</i>,
di certo ha sofferto il freddo, probabilmente ha letto McLuhan e quasi
certamente non ha conosciuto Cronenberg. Ma c’è qualcosa che li lega. E’ passato
da molto il tempo in cui il cinema era il gioco più eccitante in città, quindi
anche la sua capacità profetica è in ribasso. La capacità, intendo, di mettere
in chiaro <i>quel che sta succedendo adesso</i>
e di cui nessuno sembra accorgersi. Che è poi ciò di cui parlano
incessantemente McLuhan e Gibson.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
(De
Marinis, 1995 : 50,59)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il cinema di
David Cronenberg sembra quindi accostarsi a ciò di cui parlano McLuhan e
Gibson: trattare l’attualità, il modo in cui la società cambia e le minacce che
si manifestano nel presente, quello che Gualtiero De Marinis etichetta come
“quel che sta succedendo adesso”. <i>Cosmopolis</i>
tratta il presente raffigurando il futuro e le possibili condizioni a cui ci
indurranno le nuove tecnologie e il capitalismo. La guarigione sembra quindi
non esserci affatto, non esisterebbe cura. Forse l’unica via d’uscita proposta
dal regista canadese è proprio la morte (che è poi il finale del film,
apparentemente aperto a chi non ha letto il libro di DeLillo). Proprio la morte viene trattata da John Costello
che prova a spiegare come Cronenberg conduca i suoi personaggi alla liberazione
dal <i>virus</i>, dal contagio: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
I
personaggi ancora una volta si rifiutano di obbedire alle “regole”
convenzionali, seguendo il proprio “bianconiglio” in buche che conducono
inesorabilmente alla pazzia e alla morte, che rimane comunque preferibile alla
mediocrità. Dovremmo tutti essere grati a Cronenberg, che ci illustra, con
dettagli grafici, quanto precaria e falsa sia in realtà la condizione umana.
Mostrando ciò che non sarebbe mostrabile, parlando dell’indicibile, ci permette
di confrontarci con i nostri demoni, di dare un volto ai nostri incubi e di
sbirciare nell’abisso, senza andare mai sotto la superficie. (Costello, 2001 :
23)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Riprendendo il
discorso della cura dal virus quindi, l’unica soluzione presente nella
filmografia di David Cronenberg sta dunque nella morte. I suoi personaggi pur
di non vivere nella mediocrità e nell’insoddisfazione approdano alla morte come
se quest’ultima fosse una medicina capace di guarire dalla contaminazione che
c’è stata, dal cancro entrato nella pelle dei personaggi, che non offre via di
scampo. Il metodo col quale il regista canadese affronta questa guarigione sta
nella raffigurazione di ciò che non si vede, che non è tattile. Così come il
cinema frammenta e ricompone i pezzi attraverso il montaggio, Cronenberg in <i>Cosmopolis</i> suggerisce di riadattare
questa tecnica anche alla nostra società, distruggendo il passato e costruendo
un nuovo futuro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Una delle
malattie che ripercorre nei personaggi principali dei film del regista canadese
è la paranoia. Anche il protagonista Pattinson nel film sembra essere un
paranoico, giunto a questo punto della sua vita probabilmente con una
irrefrenabile voglia di desiderare sempre di più, di trasgredire, di provare
nuove sensazioni, come sparare alla sua guardia del corpo e sembra godere nel
momento in cui il medico gli infila un arto nel sedere. Il personaggio di Eric,
in un certo senso, si accosta al protagonista del film <i>Il pasto nudo</i> Bill Lee e a tal proposito Ottavio Di Brizzi scrive:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Il
mondo svanito, il paesaggio cadaverico che ospita un soggetto megalomane che si
sente unico depositario dell’Ordine delle Cose, è la creazione di una
catastrofe interiore, di una incapacità o impossibilità di rivolgere verso l’esterno la propria libido,
di una implosione caotica che, proietta all’esterno, svuota di senso e di
importanza la realtà. Un’apocalisse interna al soggetto proietta uno scenario
di minaccia che solo il soggetto delirante potrà sciogliere. Il paranoico non
fa altro che ricostruire un mondo abitabile, un universo nuovamente pulsante
(scrive Freud: “Egli lo costruisce [il mondo] col lavorio delle idee deliranti.
La formazione di idee deliranti, che noi consideriamo un prodotto patologico,
in realtà è uno sforzo verso la guarigione, un processo di ricostruzione”). (Di
Brizzi, 1995 : 113)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Da ciò che
abbiamo modo di leggere in quest’ultima osservazione di Di Brizzi, possiamo
esaminare il personaggio di Eric e collegarlo alla tematica della paranoia.
Cosi come <i>Crash</i>, anche <i>Cosmopolis</i> è un film post-politico e
post-erotico. Il protagonista fatica ( e deve impegnarsi) a trovare il brivido
dell’eros. Inoltre, il soggetto crede
che ogni avvenimento sia in qualche modo relazionato a lui, hai il sospetto di
essere l’unico umano ancora non colonizzato ed è convinto di essere l’unico in
grado di conoscere il giusto ordine delle cose. Eric Packer è un ragazzino,
ricco e potente; chiede consigli su come investire i suoi soldi ma non dà molta
importanza a questi. Vive nel suo mondo all’interno della sua limousine mentre
fuori la gente di ribella alla società circostante. L’unico momento in cui il
protagonista sembra commuoversi davvero è durante la morte di un cantante
rapper, ma per tutto il resto del film il personaggio interpretato da Pattinson
sembra privo di emozioni e sentimenti. Seguendo ciò che scrive Freud quindi,
questa personalità può essere sintomo di uno sforzo verso una guarigione e
probabilmente un processo che conduce ad una ricostruzione. Ma il protagonista
del romanzo, anche se nel film di Cronenberg ci troviamo davanti ad un finale
aperto, inevitabilmente morirà. Quindi forse è proprio questa l’unica via
d’uscita prevista da Cronenberg: non di tratta di una resa nei confronti di un qualcosa di inevitabile e
di incontrastabile, proprio come la morte, piuttosto i suoi personaggi sono
contraddistinti da un senso di non accettazione, quasi di ribellione:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListParagraph" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Nei miei
film io mi batto contro i dati biologici dell’esistenza umana. Esprimo il
desiderio di cambiarli. Pochissime persone esiterebbero a sopprimere la
vecchiaia e la morte, anche se le conseguenze potrebbero essere disastrose. E’
quello che fanno i miei personaggi: hanno una reazione normale, non accettano!
Noi siamo nati per non accettare, contrariamente a tutte le altre culture del
pianeta. ( Cronenberg, 1992 )<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Continua quindi
a farsi sentire a gran voce la sua cultura, le sue origini e la sua formazione,
ancora la cultura canadese a giocare un
ruolo fondamentale e caratterizzare i suoi personaggi sulla non accettazione,
cosi come avviene nel film Crash, dove i protagonisti vogliono riappropriarsi
della vita scegliendo come e quando farla finire. Se quindi la minaccia è la
morte (che più volte si è sottolineato come possa accostarsi al discorso del
virus, della malattia, del contagio, anche paragonandolo all’AIDS) i
protagonisti ne usciranno comunque vincitori e saranno loro a decidere come e
quando morire nonostante la minaccia che incombe su di loro. La “guarigione”, o
meglio la comprensione, è allora
possibile. Possiamo, quindi, interpretare questa come una chiave di lettura che
ci conduce ad una sorta di “lieto fine”. Tutto ciò risulta possibile seguendo
ciò che Cronenberg ci mostra, scegliendo un diverso punto dal quale leggere l’opera
filmica: il punto di vista è quello della malattia che si innesca nel
protagonisti dei suoi film. <i>Cosmopolis</i>
non vuole essere un film di critica, piuttosto è una rappresentazione di ciò
che può avvenire in un imminente futuro e il regista canadese ci chiede di
entrare nella limousine del film per osservare ciò che viene narrato, proprio
accanto a lui e ad Eric Paker. Il protagonista incarna un guru delle finanze
che perde tutto per un calcolo sbagliato, mentre la morte veste i panni del
personaggio di Paul Giamatti, Benno Levin. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 115%;">CONCLUSIONI<o:p></o:p></span></u></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Guardia del corpo: “Il presidente è in città”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Eric: “Non ci riguarda, voglio aggiustare il
taglio…attraversiamo la città!”<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><i><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(Dialogo tra Eric Packer e la sua guardia del corpo in
Cosmopolis)<o:p></o:p></span></i></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: right;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
Come si è avuto
modo di analizzare quindi, il cinema di David Cronenberg risente delle forti
influenze che la sua cultura gli ha trasmesso. Il Canada è presente in tutte le
sue pellicole e non solo visivamente parlando (fino ai primi anni novanta tutti
i suoi film furono girati in Canada e anche gli attori da lui scelti erano
canadesi), ma anche sotto un aspetto meno esplicito. Tutto il cinema del
regista canadese si basa sul dare una forma visibile alle grandi configurazioni
terrifiche dell’inconscio, quindi, di conseguenza, le tematiche da lui trattate
sono frutto dei suoi riscontri, delle sue esperienze e talvolta anche delle sue
paure. La resistenza al virus, cosi come la resistenza della popolazione
canadese nei confronti dell’America è riscontrabile anche in <i>Cosmopolis</i> in maniera più che evidente. All’inizio
del film Packer decide di voler aggiustare il taglio di capelli nonostante il
presidente degli Stati Uniti si aggiri per le città di New York, a
dimostrazione del fatto che il protagonista del film di Cronenberg non si lascia
intimidire dalla minaccia (in questo caso metaforizzata dal traffico). Ma
questa non è l’unica traccia di cultura canadese che possiamo riscontrare
nell’ultima pellicola di Cronenberg. Anche la stessa identità del protagonista,
accostandosi a quella dei precedenti personaggi cronenberghiani, risulta
narcisista, sicura di sè, eppure nel suo inconscio è decisamente una persona
fragile che è ossessionata dal tempo e che sin dai primi minuti del film
esprime un desiderio, quello di voler tornare dal suo parrucchiere di fiducia,
lo stesso che gli tagliava i capelli quando da bambino si recava lì con suo
padre. La ricerca del passato, delle sue radici e della sua identità è proprio
il perno centrale di tutto il film. Eric Packer risente di questa sua lacuna, cosi
come ne risente il Canada e di conseguenza lo stesso Cronenberg, il quale
tratta questa ossessione nella sua intera filmografia e in maniera più
esplicita proprio con <i>Cosmopolis</i>. Anche
attraverso la sceneggiatura è possibile leggere quanto questo sia trattato.
“Tutto nelle nostre vite ci ha portato a questo momento” dice Benno Levin ad
Eric, di conseguenza l’unico spiraglio di luce che c’è nel film viene
pronunciato dalla bella ma impossibile Elise
Shifrin (interpretata da Sarah Godon, anche lei canadese): “distruggere il
passato, creare il futuro!”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: center;">
<b><u><span style="font-size: 20.0pt; line-height: 150%;">BIBLIOGRAFIA<o:p></o:p></span></u></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
CANOVA Gianni , <i>David Cronenberg</i>, Il castoro cinema,
Milano, 2007.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
COSTELLO John, <i>Tutti i film di David Cronenberg</i> (<i>trad . di
Barbara De Filippis)</i>, Lindau, Torino, 2001.<b><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
DE MARINIS
Gualtier, « Cartografie. Videodrome, La zona morta », in <i>La bellezza interiore. Il cinema di David Cronenberg</i>, a cura di
Michele Canosa, Le mani, Genova, 1995, pp. 50-59.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
DERY Mark, <i>Velocità di fuga. Cyberculture di fine
millennio</i>, Feltrinelli, Milano, 1997.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
GIAIME ALONGE
Andrea, « Un cinema senza foglia d’acero? L’identità canadese di David Cronenberg », in <i>David Cronenberg</i>, <i>Garage.
Cinema Autori Visioni</i>, 1997, n° 10, pp. 49-53.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
MENARINI Roy<i>, </i>« Il corpo è denaro », in<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<a href="http://www.mymovies.it/film/2012/cosmopolis/news/ilcorpoedenarofirmatocronenberg">http://www.mymovies.it/film/2012/cosmopolis/news/ilcorpoedenarofirmatocronenberg</a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
FADDA, Michele «Atom
Egoyan. La retorica dell’assenza », in <i>Cineforum</i>
n. 382, marzo, 1999.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
MCLUHAN
Marshall, <i>Il villaggio Globale. XXI
secolo: trasformazioni nella vita e nei media</i>. <span lang="EN-US">Trad. ita. Milano, SugarCo, 1992.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<span lang="EN-US">PARKER Andrew, <i>Media Spectacles</i>, Marjorie Garber, Jann Matlock (a cura di),
Routledge, New York, 1993, p. 220.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
DI BRIZZI,
Ottavio, « Cartografia Nova. Il pasto nudo », in <i>La bellezza interiore. Il cinema di David Cronenberg</i>,<i> </i>Canosa Michele (a cura di), Recco –
Genova, LeMani, 1995, p. 113.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
GRÜNBERG
Serge, <i>David Cronenberg</i>,
Edizioni <i>Cahiers du cinéma</i>, 1992.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<br /></div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-57313796308368998842013-03-11T16:06:00.001+01:002013-03-11T16:12:47.685+01:00IL LATO POSITIVO<div style="text-align: justify;">
di David O. Russell. </div>
<div style="text-align: justify;">
Con Bradley Cooper, Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Jacki Weaver, Chris Tucker.</div>
<div style="text-align: justify;">
Titolo originale <i>Silver Linings Playbook</i>.<b></b> </div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvqYXOF6t9Ug9HGjM8o5H8Vsmex6o9KWETjJeBm9TrDs3egI-e2-jUYfeL_z4cbWO3q1k8B55xXAmFoLrN4KXIoyiQEOcbdmOUmvABO-HmN5a-MfU3FNlsDqpZHfn8j7kWHesYptjNm68/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvqYXOF6t9Ug9HGjM8o5H8Vsmex6o9KWETjJeBm9TrDs3egI-e2-jUYfeL_z4cbWO3q1k8B55xXAmFoLrN4KXIoyiQEOcbdmOUmvABO-HmN5a-MfU3FNlsDqpZHfn8j7kWHesYptjNm68/s320/locandina.jpg" width="225" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Commedia - USA 2012 - Durata 117 minuti </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In molti si sono chiesti: com' è possibile che una commedia americana, dalla trama (apparentemente) già rimarcata ennesime volta abbia ottenuto ben otto nomination all'Oscar<span class="userContent"> (il film ha trionfato anche al Toronto Film Festivals 2012 vincendo il premio del pubblico come miglior film)</span>, tra le quali quella di miglior film dell'anno?</div>
<div style="text-align: justify;">
Effettivamente ammetto di essere entrato in sala ponendomi la stessa domanda e una volta uscito ho avuto quella risposta.</div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Il lato positivo</i> (<i>Silver Linings Playbook</i>, è il titolo originale) è tutto ciò che il cinema americano ha di positivo: la brillantezza della commedia, quella sublime pazzia che tanto piace agli spettatori di tutto il mondo, l'approccio al romanticismo che non sfocia nel banale, ma piuttosto si delinea lungo un asse che potremmo etichettare come gli "ostacoli vitali". </div>
<div style="text-align: justify;">
Pat (Bradley Cooper)<span class="userContent">, un'insegnante di liceo,
viene dimesso da una clinica psichiatrica ed è convinto di essere stato
in cura solo per qualche mese. Tornato dalla moglie, scoprirà che il
suo ricovero è durato diversi anni e lei non vuole più saperene di lui. A
questo punto Pat deciderà di diventare l'uomo che sua moglie aveva
sempre desiderato che lui fosse per riconquistarla. In questo percorso,
si inserirà Tiffany (Jennifer Lawrence fresca di premio Oscar come miglior attrice protagonista), la sua bella e disponibile vicina di casa per aiutarlo, ma
anche lei è piena di problemi. Tra i due inevitabilmente nascerà un
forte legame. Parallelamente alla loro storia, si affronterà il rapporto figlio/genitori e su questa sponda sarà possibile ammirare uno straordinario Robert De Niro che è semplicemente Robert De Niro. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="userContent">David O. Russell torna due anni dopo <i>The Fighter</i> (che già strappò forti applausi) con un'opera brillante, nevrotica e decisamente commovente. Con un pizzico di scaramanzia (accostandoci a De Niro, vogliamo chiamarla fortuna?) ci presenta un film che incarna tutti gli stereotipi dei classici film hollywoodiani: dalla storia d'amore alla scena del ballo (in perfetto stile musical), dall'incompreso protagonista alla risata made in Wilder, dall'intreccio della storia ad un finale che si racchiude in un unico punto dove si intersecano le linee narrative di tutta l'opera. <br />Passiamo al cast adesso: Bradley Cooper dopo aver passato le sue "notti da leone", incarna </span><span class="userContent"><span class="userContent">alla perfezione </span>un personaggio bipolare e danza sullo schermo affiancato da quella che potremmo definire l'ultima nuova diva hollywoodiana: Jennifer Lawrence (l'Oscar è più che meritato). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="userContent">La risposta alla domanda iniziale quindi è che l'opera di David O. Russell parte con un pugno forte nello stomaco, come quelli visti nel suo film precedente, per poi proseguire in maniera decisamente più dolce, tralasciando la negatività e evidenziando "il lato positivo" delle cose, della vita e del cinema hollywoodiano. Assolutamente da vedere.<br /> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-76540905220303090162013-02-19T12:48:00.001+01:002013-02-19T12:48:20.157+01:00NOI SIAMO INFINITO<br /><br />Titolo originale: The Perks of Being a Wallflower<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT2Br4Ao5RQD7IG45T8PIgioGOQf1l8Xv_-HJIu-gbYt4oxHyzd2oOvbGZuoAKIDZUXP43hgVhM4tgMtQzM1llJAzT9nReX-8ZLI9JYSPX5bZzL4S91rrvRQUa_wnU2tahjkOLOAM7Hi8/s1600/Noi-siamo-infinito-cover-vcd-front.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT2Br4Ao5RQD7IG45T8PIgioGOQf1l8Xv_-HJIu-gbYt4oxHyzd2oOvbGZuoAKIDZUXP43hgVhM4tgMtQzM1llJAzT9nReX-8ZLI9JYSPX5bZzL4S91rrvRQUa_wnU2tahjkOLOAM7Hi8/s320/Noi-siamo-infinito-cover-vcd-front.jpg" width="320" /></a></div>
<br />di Stephen Chbosky<br />con: Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Miller, Mae Whitman, Melanie Lynskey, Dylan McDermott, Paul Rudd, Tom Savini.<br /><br />
Drammatico - Durata 112 minuti <br />
2012 - USA.<br />
<br />
Arriva in Italia <i>The Perks of Being a Wallflower</i>, con il titolo tradotto <i>Noi siamo infinito</i>, tratto dal romanzo dello stesso Chbosky.<br />
1991, America. L'intelligente, ma timido e inetto, Charlie
(Logan Lerman) osserva il percorso degli eventi dalla sua camera, scrivendo una sorta di diario personale. Gli amici latitano, finché
non compaiono la bella Sam (Emma Watson) e il suo
fratellastro Patrick (Ezra Miller, probabilmente il migliore tra gli attori). Mentre si recita il
<i>Rocky Horror Picture Show</i> e un professore trasmette a Charlie il
sogno della scrittura, per il terzetto la missione è trovare la colonna
sonora della propria vita (ci sembra di ricordare <i>500 giorni insieme</i>, non sarà un caso la scelta degli Smiths). Ma come ci si può aspettare, non và tutto liscio: il passato torna a rapire il povero Charlie, che non ha mai superato la morte accidentale
della zia. Da qui una serie di eventi si susseguono, portando il giovane protagonista ad una crescita relazionale e alla nascita di nuovi sentimenti mai provati prima.<br />
Il film vince e convince lo spettatore. Sicuramente il punto di forza dell'opera sta nella sceneggiatura, forte e dall'infinità realisticità di una storia, anomala per certi versi, ma che (cosi come sostiene il protagonista) si verifica frequentemente restando nell'ombra. I problemi di Charlie sono gli stessi di tanti adolescenti, amplificati certo dal trauma infantile. Ottima la colonna sonora che accompagna le vicende dei ragazzi; buona la performance dei giovani attori (probabilmente tra i migliori ad Hollywood attualmente) e decisamente convincente l'adattamento di Chbosky che ci regala scene destinate a divenire <i>cult</i> come quella in macchina con David Bowie a garantire adrenalina e colpo di fulmine tra noi e il film. Ciò che colpisce di <i>Noi siamo infinito</i> è la sua orignialità, pur essendo un film sicuramente ispirato ad altri (sembra di vedere <i>Donnie Darko</i> a volte nello sguardo di Charlie, cosi come il già citato <i>500 giorni insieme</i>). In un tempo dove il ricalco domina la scena hollywoodiana e il mondo sembra non fermarsi mai (esplicitato nella sequenza in auto, ma anche nell'incipit del film con la soggettiva del protagonista) sono film come questo che riportano la consapevolezza che tutto non è ancora stato scritto e girato. Il film ci insegna che il passato è passato, ma ciò che possiamo avere davanti è ancora un incognita, spingendo la nostra percezione a desiderare il nuovo, la sorpresa (come il colpo di scena finale). Sappiamo che un giorno questo film diverrà storia e le immagini
diventeranno vecchi fotogrammi, e noi diventeremo il padre o la madre
di qualcuno, ma qui, adesso, in questo momento non si tratta di storia, questo sta
succedendo, noi siamo qui, e lo stiamo guardando… ed è bellissimo. <br />
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-56091903062881032432013-02-17T19:39:00.001+01:002013-02-21T10:53:27.061+01:00FLIGHT<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Un film di Robert Zemeckis. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con Denzel Washington, Don Cheadle, Kelly Reilly, John Goodman, Bruce Greenwood.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiroixrRjMjwhfgrwOwvd-3h4JGad-JBwF3TT91EGwehOeuObixGwtmBc9tE6be_OGJjVh3H1Pmpui0VDiV6u0B8ktddxGrl6zfDjGQ7pdYibnlRdNYsjjM9WG7TlIfhz_M8JU_GARciEM/s1600/flight.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiroixrRjMjwhfgrwOwvd-3h4JGad-JBwF3TT91EGwehOeuObixGwtmBc9tE6be_OGJjVh3H1Pmpui0VDiV6u0B8ktddxGrl6zfDjGQ7pdYibnlRdNYsjjM9WG7TlIfhz_M8JU_GARciEM/s320/flight.jpg" width="223" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<strong>
</strong>Drammatico - Durata 138 minuti </div>
<div style="text-align: justify;">
USA 2012. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Eccolo di nuovo! Robert Zemeckis torna a girare film con attori in carne e ossa e lo fa alla sua maniera, riportando sul grande schermo tutte le tematiche che hanno fatto di lui un maestro del cinema contemporaneo, capace di contraddistinguersi da tutti gli altri cineasti.</div>
<div style="text-align: justify;">
In <i>Flight</i>, infatti, è possibile ritrovare tutto il suo cinema: dal tema del tempo a quello del doppio, dall'esorcizzazione della morte al mito.</div>
<div style="text-align: justify;">
Una serie di improvvisi guasti e calamità naturali trasformano un normale volo di linea in un vero incubo. L’audace e coraggioso comandante Whip Whitaker (interpretato da un Denzel Washington in grande spolvero) riesce a evitare la tragedia. Immediatamente acclamato eroe dai superstiti e dalla stampa, l’uomo in realtà potrebbe essere la causa dell’intera sciagura per via del suo stato d'ebrezza prima e durante il volo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Per il suo diciottesimo lungometraggio Zemeckis torna a lavorare con Don Burgess (direttore della fotografia) e opta per uno straordinario montaggio alternato per la prima parte del film, mettendo in parallelo le vita del protagonista e quella della donna che sarà la sua futura compagna. </div>
<div style="text-align: justify;">
Dunque, da dove cominciare? Ah si, il tanto amato <i>movimento</i> del regista di Chicago, senza il quale i suoi personaggi e le sue storie non prendono vita. Dopo aver scelto una Delorean, una zattera, un treno, ecco adesso l'aereo. Zemeckis ci invita a salire a bordo promettendoci di regalarci un'esperienza straordinaria. Gli spettatori infatti sembrano essere incollati su quelle poltrone e nonostante le turbolenze e consapevoli di andare incontro ad una tragedia, si ha la convinzione di dover atterrare planando neanche fosse il leggero movimento di una piuma, come quella del buon vecchio <i>Forrest Gump</i>. Un arma a doppio taglio quindi e se si parla di doppio come non sottolineare la duplice personalità del protagonista: Whip è un eroe ma allo stesso tempo racchiude tutti i <i>cliché</i> dell'antieroe, alternando momenti di pura saggezza quando si rapporta con la gente al di fuori dal suo guscio dove invece regna l'altro Denzel, l'ubriacone, per intenderci. La maschera indossata dal protagonista è la stessa usata da Jodie Foster in <i>Contact</i>, nascondendo il dolore dentro di se (in quel caso per la perdita del padre, in questo caso per essere stato allontanato dalla sua famiglia). Il mito degli Stones (mentre nella sua prima pellicola toccò ai Beatles) fanno da sottofondo all'entrata in scena di John Goodman, che spiazza lo spettatore portando un tocco di ironia in perfetto stile Coen. Proprio come in tutte le sue pellicole precedenti, anche in <i>Flight</i>, Zemeckis compie un'operazione di esorcizzazione della morte: il suo personaggio non può morire, eppure sembra morto dentro sin dai primissimi minuti del film. Il suo tempo è finito da un pezzo, precisamente da quando i rapporti con la famiglia sono andati degenerando ed è proprio questo il punto centrale di tutta l'opera del regista di Chicago: il tempo. Se Tom Hanks sostiene di non perdere di vista il tempo in <i>Cast Away</i> e poi si ritrova in un non-luogo, dove le ore/giorni non contano a nulla, anche Whip si ritroverà a vivere la sua vita nel vuoto, nel nulla più totale, dove ogni giorno che passerà sarà identico a quello precedente, costretto a vivere in una cella fittizia che lo imprigiona da troppo tempo ormai. Il finale del film, da qualcuno criticato, non poteva essere rappresentato in nessun altro modo. Denzel Whasington tra le sbarre riprenderà a vivere e forse solo allora le sue lancette riprenderanno a muoversi. Magistrale.</div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-91897553264063650502013-01-29T13:20:00.001+01:002013-01-29T20:32:58.954+01:00DJANGOdi Quentin Tarantino<br />
con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Walton Goggins, Don Johnson, Samuel L. Jackson, Bruce Dern, James Russo, James Remar, Amber Tamblyn, Nichole Galicia, Laura Cayouette, Jonah Hill.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqTXHd3gO0XPnRS2NYCuUUkjo1_5a3nKSNl9ZWSJSogeMpT_oqbuwvTbWtHu8Ge4vAqcnAftjDHw57xseKunjJG71H7nJ92LiUD04DTy2WMsno6Grt-_a1ctfwLfsn_RN_UX2WJpXwtvU/s1600/MV5BMjIyNTQ5NjQ1OV5BMl5BanBnXkFtZTcwODg1MDU4OA@@._V1._SY317_.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqTXHd3gO0XPnRS2NYCuUUkjo1_5a3nKSNl9ZWSJSogeMpT_oqbuwvTbWtHu8Ge4vAqcnAftjDHw57xseKunjJG71H7nJ92LiUD04DTy2WMsno6Grt-_a1ctfwLfsn_RN_UX2WJpXwtvU/s1600/MV5BMjIyNTQ5NjQ1OV5BMl5BanBnXkFtZTcwODg1MDU4OA@@._V1._SY317_.jpg" /></a></div>
USA 2012 - Durata 165 minuti.<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Non è semplice affrontare una critica che riguardi un film di Quentin Tarantino. Ogni sua opera contiene diverse chiavi di lettura. Il percorso di crescita di questo immenso autore lo ha portato oggi a partorire una pellicola lunga 165 minuti, dove all'interno è possibile ritrovare tutta la sua cultura cinematografica. <i>Django </i>è questo: un mix di tutta la sua filmografia associata a continui richiami di opere che hanno costruito un regista in grado di ritagliarsi un posto nell'olimpo degli autori. </div>
<div style="text-align: justify;">
Negli Stati Uniti del Sud, da qualche parte nel Texas, due anni prima della Guerra civile, lo schiavo Django (Jamie Foxx) viene acquistato dal dottor Schulz (un Christoph Waltz straordinario), un dentista tedesco diventato cacciatore di taglie, col patto di liberarlo dopo che insieme avranno catturato i pluriomicidi fratelli Brittle. Assimilando il talento di Schulz, Django diventa un killer infallibile e intanto coltiva il desiderio di ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda (Kerry Washington), acquistata come schiava tempo prima dal malvagio Calvin Candie (Leonardo DiCaprio probabilmente il migliore tra tutti gli attori con Samuel L. Jackson).</div>
<div style="text-align: justify;">
Come Django assimila dal dottor Schulz, anche Tarantino compie la stessa operazione da altri autori, da Leone a Corbucci, o ancora a Griffith. La sequenza del Ku Klux Klan ricorda quella del film <i>Nascita di una nazione</i>, anche in questo caso rimodellata in chiave ironica e decisamente riuscita (probabilmente la migliore del film). Proprio questo rimandare al passato potrebbe esserci utile a capire cosa c'è dietro <i>Django</i>: un passato che prepotentemente torna nel presente o che forse non è mai passato del tutto. I continui flashback presenti nel film rimandano a qualcosa di già visto, ma questa volta riformulati in chiave tarantiniana, aggiungendo quel tocco che ha contraddistinto il regista di <i>Kill Bill</i>, <i>Le iene</i>, <i>Pulp Fiction</i>, <i>Grindhouse</i> e <i>Bastardi senza gloria</i>. La sequenza di D'artagnan sbranato dai cani rimanda a quella girata dall'amico Rodriguez in <i>Sin City</i>, dove Elijah Wood veniva legato ad un albero per poi essere decapitato. Ancora, la sparatoria splatter finale sembra ricordarci la sequenza di <i>Kill Bill</i> dove si assiste al duello tra Uma Thurman e Lucy Liu. Ma i ricalchi al suo cinema non sono finiti: nel finale del film Jamie Fox viene appeso a testa in giu e uno scagnozzo di Di Caprio lo minaccia con un coltello, telecamera bassa e voilà, dèjà vu di Michael Madsen nel film <i>Le Iene</i>. Degna di nota è tutta la colonna sonora (anche la fotografia), il contrasto tra la musica rap e le immagini western crea un mondo completamente tarantiniano e originale che diviene delizia per gli occhi e per le orecchie.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo <i>Bastardi senza gloria</i>, Tarantino riprende il tema del nazismo e lo immerge in una pentola chiamata western, tralasciando John Wayne e privilegiando Franco Nero (che compare anche nel film nella sequenza del duello tra neri davanti agli occhi del perfido Di Caprio), ma questa volta l'operazione gli riesce fino a un certo punto. Mentre con il precedente film lo spettatore esce dalla sala consapevole di aver appena visto un capolavoro (come lo stesso Brad Pitt sostiene alla fine del film), con <i>Django </i>si ha la sensazione di uscire indubbiamente soddisfatti, ma con il dubbio che qualcosa sia mancato a questi 165 minuti di pellicola. Sicuramente la grandezza di <i>Django </i>sta nell'originalità di un autore che ormai è una garanzia, ideando un filone pulp che solo lui può permettersi di creare. </div>
<div style="text-align: justify;">
Caro Quentin, se prima avevi la nostra curiosità, adesso hai tutta la nostra attenzione.</div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-32446850141056139012013-01-17T18:54:00.004+01:002013-01-17T18:58:22.984+01:00THE MASTER<br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">di Paul Thomas Anderson</span></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">con </span></span><span style="font-family: Verdana, sans-serif; line-height: 20px;">Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern, Rami Malek, Jesse Plemons, W. Earl Brown, Kevin O'Connor, Lena Endre, Ambyr Childers</span><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilZZqWdcOd2bKz_uZD_YNn65qovuHPQXmvhp8j99XGqthH7l8h_l_rEcRI-WmHk4PSfR8nhCfVvYKkslzwzwHQgrWoSYtka1GIh_5-Pll39atsaOkZvpk5Ifa-HzURiag06I4oeGo93L8/s1600/locandina-the-master.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilZZqWdcOd2bKz_uZD_YNn65qovuHPQXmvhp8j99XGqthH7l8h_l_rEcRI-WmHk4PSfR8nhCfVvYKkslzwzwHQgrWoSYtka1GIh_5-Pll39atsaOkZvpk5Ifa-HzURiag06I4oeGo93L8/s320/locandina-the-master.jpg" width="224" /></span></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;"><br /></span>
<span style="line-height: 20px;"><br /></span>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif; line-height: 20px;">DRAMMATICO - 137 minuti - USA 2012</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;"><br /></span>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">Freddie (Joaquin Phoenix) è un marinaio, alcolizzato e un talento nel creare distillati alcolici. Una volta tornato in patria, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, prova a reintegrarsi nella società, in un primo momento come fotografo in un centro commerciale, poi, ancora, come agricoltore, ma in entrambi i casi fallisce i suoi tentativi. Il protagonista si imbarcherà nuovamente, questa volta per errore dovuto al suo stato di ebrezza, per combattere forse il vero antagonista dell'ultima pellicola di Anderson: i demoni di un passato che lo hanno reso il disadattato di oggi, solo, senza casa né famiglia e con l'unica speranza di ritrovare nel Massachusetts l'amata sedicenne Doris. Su questa nave incontra "un'altro lui" chiamato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il quale si presenta dicendo: "Sono uno scrittore, dottore, fisico nucleare, filosofo teoretico, ma soprattutto un uomo". I due personaggi sono molto simili tra loro, entrambi con istinti animaleschi, privi di un vero affetto, simpatizzanti l'uno dell'altro. Lancaster Dodd porta avanti le sue idee, quella che lui ama definire "la causa", la quale si rivelerà una sorta di specchio dell'America stessa: un'idea priva di basi solide e punti di riferimento (si passa con troppa semplicità ad un cambiamento di metodo, da “riesci a ricordare?” a “riesci a immaginare?”). Anche i protagonisti dell'opera andersoniana sembrano rispecchiare il continente americano, privi di un passato glorioso, di una storia, di una figura "materna" (nel film infatti non compaiono scene madri, sarà un caso?). </span></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">C'è chi si aspettava un attacco a Scientology per via della "setta", della "causa" e del personaggio interpretato da Hoffman (che a tratti ricorda il Kane di Welles), il quale accudisce il povero e sbandato Freddie, eppure ci troviamo davanti a molto più di questo. </span></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">Non è semplicemente una critica a Hubbard (il fondatore di Scientology), piuttosto l'opera punta il dito contro un'intera nazione rimasta chiusa in una cella dalla quale non riesce più ad uscire, dove ogni via d'uscita che si presenta appare illusoria e fragile come sabbia. I ricordi divengono sogni/incubi, illusioni e ipotesi (ci siamo già conosciuti in un'altra vita?), forse speranze di un'immaginario troppo distante da raggiungere. Epico il faccia a faccia finale, proprio come avviene ne <i>Il petroliere</i>, tra i due protagonisti, dove Lancaster Dodd invita Freddie a fargli sapere se riuscirà mai ad essere felice senza un vero e proprio punto di riferimento e che se mai dovesse riuscirci, allora sarà il primo caso nella storia. </span></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="line-height: 20px;">Quella di Paul Thomas Anderson sembra quindi, più che un racconto, una vera e propria "tesi" e un invito alla crescita, all'andare avanti verso un futuro dove il passato americano non è più invitato. Capolavoro assoluto.</span></span><br />
</div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-969888114951567202013-01-15T17:23:00.002+01:002013-01-15T17:23:26.725+01:00VITA DI PI<div style="text-align: justify;">
di Ang Lee.</div>
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Con Suraj Sharma, Irrfan Khan, Tabu, Rafe Spall, Gérard Depardieu, Adil Hussain.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPJdrndNZ0OvLRC46sAxtPKUxjm0iVZZT_Vh2b0O2KpkN8O1jyggnRCcuP0DKUALp1lJMpBIm5aPdEtlxDlr2j0udi-ZyV6b2l-9gyVVvd_qXc-TRzX12pMl_yXVlObWbriqmqL4F7HC0/s1600/pi.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPJdrndNZ0OvLRC46sAxtPKUxjm0iVZZT_Vh2b0O2KpkN8O1jyggnRCcuP0DKUALp1lJMpBIm5aPdEtlxDlr2j0udi-ZyV6b2l-9gyVVvd_qXc-TRzX12pMl_yXVlObWbriqmqL4F7HC0/s320/pi.jpg" width="213" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Avventura, Drammatico - Durata 127 minuti - USA, 2012.</div>
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Tratto dal celebre romanzo di Yann Martel, il pluripremiato regista Ang Lee riabbraccia la natia Taiwan. L'autore decide di sperimentare per la prima volta il 3D, regalandoci inquadrature straordinarie tra oceano e cielo, tra la terra e l'altrove. </div>
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Il progetto di <i>Vita di Pi</i> esiste già da circa dieci anni e solo oggi approda nelle sale di tutto il mondo. L'opera narra le vicende di Pi Patel, figlio del guardiano dello zoo di Pondicherry, in India, che con la famiglia si sta trasferendo in Canada, a bordo di una nave da carico. Superstite di un tragico naufragio, Pi si ritrova alla deriva nell'Oceano Pacifico, su una scialuppa di salvataggio, in compagnia di una enorme tigre del Bengala chiamata Richard Parker per errore. Il romanzo, cosi come il film, fortunatamente non trasforma il feroce felino nel miglior amico dell'uomo come spesso accade in tante opere cinematografiche, ma lascia l'enorme difficoltà di affrontare un viaggio nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico in compagnia di una minaccia costante come una tigre del Bengala. Più volte menzionato nel film è il tema della religione, o meglio delle religioni, le quali vengono tutte prese in considerazione e coltivate con amore da parte del protagonista Pi. Egli infatti non crede in un unico Dio, ma amplia le sue conoscenze religiose approfondendone molteplici tipi. L'Expedition di Pi viene da lui stesso raccontata ad uno scrittore, il quale ne rimarrà affascinato e incredulo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Non mancano le tantissime citazioni cinematografiche: sembra di ripercorrere le avventure di Tom Hanks in <i>Cast Away</i> (dove il protagonista stringe una forte amicizia con una palla, mentre nel caso di Pi si tratta di una tigre, forse l'unica a permettergli di trovare le forze per affrontare questo lunghissimo viaggio), l'inquadratura su sfondo bianco nel finale del film ricorda a tratti l'Alex di <i>Arancia meccanica</i> per alcuni risvolti che il film prende nel proseguo della trama. </div>
<div style="text-align: justify;">
Degni di nota sono i raccordi presenti nell'opera, il montaggio merita di essere menzionato, cosi come gli straordinari effetti visivi che fanno di <i>Vita di Pi</i> un film sublime anche da un punto di vista prettamente visivo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il regista taiwanese porta quindi sul grande schermo un'opera che si prende le sue undici nomination all'Oscar di quest'anno (tra queste miglior film, regia, sceneggiatura non originale) e disegna una parabola ascendente sulla vita e sulla spiritualità, natura e cultura, fede e scienza, credere o non credere. Infondo è questo l'interrogativo di <i>Vita di Pi</i>: bisogna decidere da che parte stare, schierarsi verso uno dei due fronti, se la realtà o l'irrazionalità, il possibile o l'impossibile. Tirando le somme anche questo stesso film sembrava non dover più prender vita, eppure eccolo qui, pronto a lasciarci a bocca aperta e attraverso le nostre bocche sarà possibile percepire questo straordinario universo cinematografico creato da uno dei maestri contemporanei del cinema. Basta semplicemente crederci. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-39231883276206209032012-12-16T13:53:00.002+01:002012-12-16T13:58:40.342+01:00MOONRISE KINGDOM<br />
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Commedia / Drammatico</div>
<div style="text-align: justify;">
di Wes Anderson.</div>
<div style="text-align: justify;">
con Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Jared Gilman, Kara Hayward, Frances McDormand, Harvey Keitel, Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Bob Balaban.</div>
<div style="text-align: justify;">
USA - 2012 </div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlcFumhphf6usve0B5mBOCejMyT9cwwEDetygyq98cmPv0WouScJ6vP448xukTI12CKKNFZrhObOa3noSNkLANoHzlGQEixWBBGKqpfL9f74Ycw9sGT3YAUH-Q_WM9o4J2CoPrH3zZImc/s1600/moonrise.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlcFumhphf6usve0B5mBOCejMyT9cwwEDetygyq98cmPv0WouScJ6vP448xukTI12CKKNFZrhObOa3noSNkLANoHzlGQEixWBBGKqpfL9f74Ycw9sGT3YAUH-Q_WM9o4J2CoPrH3zZImc/s320/moonrise.jpg" width="228" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Durata: 94 minuti.</div>
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Estate 1965. A New Penzance, un'isola al largo delle coste del New England, due piccoli amanti vivono una fuga d'amore: Sam e Suzy (gli esordienti Jared Gilman e Kara Hayward). Questo avvenimento allarmerà tutta l'isola, a cominciare dai genitori di lei, i coniugi Bishop (Bill Murray e Frances McDormand), fino al capo scout Ward (Edward Norton) e al comandante Sharp (Bruce Willis).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ancora una volta l'autore texano ci regala una favola sul rapporto adulti/bambini. Sin dai tempi di <i>Rushmore</i> infatti, Wes Anderson ha espressamente ribaltato i ruoli, raffigurando adulti bloccati nell'età infantile e ragazzini che amano giocare a fare gli adulti. <i>Moonrise Kingdom</i> è l'ennesima prova riuscita da parte del regista in questione, il quale ritorna a girare film con attori in carne e ossa dopo la piccola parentesi di <i>Fantastic Mr. Fox</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
Non mancano i suoi punti fermi. Il cast è ormai confezionato da un pezzo, Bill Murray e Jason Schwartzman sono divenuti ormai insostituibili. Le musiche rockeggianti che rimandano agli anni Sessanta fanno da sottofondo anche per quest'ultima pellicola, accompagnando carrellate mozzafiato, riprese di dettagli che curano la descrizione di tutti i personaggi, scambi di battute spiazzante dai toni ironici che spezzano il risvolto drammatico velato dalla straordinaria abilità di un autore che non sfocia mai nel banale e nello scontato, provocando nello spettatore un'alto grado di concentrazione causato dall'imprevedibilità che dura dal primo all'ultimo minuto del film. I personaggi di Wes Anderson sono delle anime in pena spesso a caccia di affetto. Essi vengono caratterizzati dalle ferite che portano, il più delle volte riscontrabili sul loro corpo: il volto di Owen Wilson in <i>Un treno per Darjeeling</i>, la mano fasciata di Susy in quest'ultima opera. <i>Moonrise Kingdom</i>, sotto questo punto di vista è il film nel quale il regista texano ha osato spingersi di più, raffigurando il sangue di un ragazzino colpito da un paio di forbici o quello di Susy che si fa bucare i lobi con un amo da pesca da Sam. Il <u>contrasto</u> è forse l'elemento che lascia l'impronta nei film di Wes Anderson: la crudeltà manifestata solo attraverso momenti di tenerezza, l'atmosfera fiabesca che fa da sfondo alla triste verità rappresentata (vedi il "non rapporto" con i genitori del piccolo Sam), i toni comici che rimandano al risvolto drammatico (a volte non servono neanche battute, ma basta posare la macchina da presa sul volto dei suoi protagonisti, com'è il caso di Bill Murray, per suscitare la risata).</div>
<div style="text-align: justify;">
In conclusione, <i>Moonrise Kingdom</i> può esser visto come una vera e propria "fuga d'amore" per tutti gli amanti del cinema. Un film che commuove e diverte attraverso la "magia del reale" (ri)creata da uno degli autori più apprezzati degli ultimi decenni. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-15542329804764276712012-12-05T15:28:00.001+01:002012-12-05T15:28:57.910+01:00LAWLESSdi John Hillcoat<br />
con Tom Hardy, Shia LeBeouf, Jason Clarke, Guy Pearce, Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Gary Oldman, Dane DeHaan, Chris McGarry, Lew Temple.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEXOiHdvY0weymzCmhhIPx2Oa6Wx4XNQn2wW1iPmUBEt925P4nVm2sqSnTGi65OivxlNW3IQJuhStsbNDTvjmk3SRtBo4KUJHgxzNa5MPLiwHUPDmQbvJMeNvDqTg_RxCiD-fBLUjIHcU/s1600/Lawless-UK-poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEXOiHdvY0weymzCmhhIPx2Oa6Wx4XNQn2wW1iPmUBEt925P4nVm2sqSnTGi65OivxlNW3IQJuhStsbNDTvjmk3SRtBo4KUJHgxzNa5MPLiwHUPDmQbvJMeNvDqTg_RxCiD-fBLUjIHcU/s320/Lawless-UK-poster.jpg" width="213" /></a></div>
USA, 2012 - durata: 115 minuti.<br />
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<div style="text-align: justify;">
1931. Franklin, Virginia. Il proibizionismo americano riportato ancora una volta sul grande schermo, ma non sembra preoccuparsene John Hillcoat (regista australiano che tre anni fa ci ha regalato <i>The Road</i>, adattamento dal romanzo di Cormac McCarthy). Anche questa volta si tratta di un adattamento, il romanzo è <i>La contea più fracida del mondo</i> di Matt Bondurant. Il film è tratto anche da una storia vera, quella dei fratelli Bondurant: Howard, Forrest e Jack, coinvolti nel commercio clandestino di alcolici durante gli anni della grande depressione americana. Ben caratterizzati i personaggi, Hillcoat ci mostra le differenze tra i tre fratelli e soprattutto il contrasto che si forma tra Forrest (Tom Hardy, che ormai non fa più notizia dopo le ottime interpretazioni degli ultimi anni) e Jack (Shia LeBeouf), con quest'ultimo che preferisce la vita del G-man alla pazienza e alla saggezza del fratello. Il più giovane dei fratelli inoltre, si innamora della dolce Maggie (Jessica Chastain), figlia di un pastore che le vieta di frequentare il ragazzo conoscendo le leggende che girano sui tre fratelli. Il film incalza i ritmi quando in contea arriva lo spietato e improfumato Charlie Rakes (Guy Pearce), il nuovo vice sceriffo che stravolgerà ogni "equilibrio" a Franklin. I tre fratelli infatti, sembrano essere gli unici a non accettare le nuove regole imposte dallo straniero arrivato da loro e per questo motivo saranno coinvolti in una serie di eventi dalle pistole e coltelli facili. </div>
<div style="text-align: justify;">
L'opera di Hillcoat è indubbiamente ben confezionata: cast straordinario (degna di nota è la presenta di Gary Oldman), musiche curate da Nick Cave, mix di generi che vanno dal western, al gangster movie fino ad arrivare allo sfrenato humor che ricorda quello della<i> Screwball Commedy</i>, dove non mancato sprazzi di <i>Slapstick</i> (vedi la caduta di Forrest nel finale). </div>
<div style="text-align: justify;">
Elementi che fanno dunque di <i>Lawless</i> un film ben costruito e sicuramente dall'alto gradimento (impossibile uscire dalla sala con qualche commento negativo sull'opera), tuttavia ciò che manca è proprio quel pizzico di genialità e di coinvolgimento che aveva contraddistinto <i>The Road</i> dai tanti film apocalittici usciti negli ultimi anni. Anche il proibizionismo è dunque un argomento trattato innumerevoli volte, ma questa volta Hillcoat fa divertire, ma non ci ha emozionato, come Mia Wasikowska suggerisce durante il film: "Non vorrai passare il resto della tua vita a guardarmi?".</div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-40204087736431876402012-11-28T13:47:00.001+01:002014-02-12T11:43:24.805+01:00IL SOSPETTOdi Thomas Vinterberg.<br />
Con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Annika Wedderkopp, Lasse Fogelstrøm, Susse Wold, Anne Louise Hassing, Lars Ranthe, Alexandra Rapaport, Ole Dupont.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji1MukUrK9UYfhvEc8qJiGiTqPvmAM1kIg9c7d-vALGGst5S4iRUVczkNOb1sfgVoS6crt1J30rFgceeEI6Wa7WaX37_ieXgE-yhiUYoL11FQQulJFEGcB38kWJkeKsaV_0kvgJzH_A8A/s1600/locandina_ilSOSPETTO.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEji1MukUrK9UYfhvEc8qJiGiTqPvmAM1kIg9c7d-vALGGst5S4iRUVczkNOb1sfgVoS6crt1J30rFgceeEI6Wa7WaX37_ieXgE-yhiUYoL11FQQulJFEGcB38kWJkeKsaV_0kvgJzH_A8A/s320/locandina_ilSOSPETTO.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
Durata: 115 minuti - Danimarca<br />
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Non è facile per noi spettatori tenere a bada la tensione quando si parla di un film di Vinterberg. Il regista danese sembra discostarsi dalle sue precedenti opere per approdare ad un cinema che ricorda quello del canadese Cronenberg. C'è un virus letale che si aggira per le strade di una piccola cittadina danese e la prima vittima sembra essere Lucas (uno straordinario Mads Mikkelsen, premiato come miglior attore protagonista al 65° festival di Cannes). </div>
<div style="text-align: justify;">
Lucas è un uomo sulla quarantina, divorziato, e la sua ex moglie non vuole fargli vedere suo figlio, l'adolescente Marcus. Lavora in un asilo nido locale e ha da poco iniziato una relazione con una sua collega, ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, iniziano i problemi. Una bambina, Klara, figlia dei suoi più cari amici, insinua qualcosa di orribile nei confronti di Lucas e la direttrice dell'asilo nido comincia a sospettare del protagonista. Le accuse di pedofilia nei confronti di Lucas si diffondono e il virus entra in circolazione, contagiando tutta la città. La vita di Lucas diventa un vero e proprio inferno. L'uomo non ha più relazioni sociali, viene cacciato via dai supermercati, picchiato a sangue da quelli che un tempo si definivano suoi grandi amici. </div>
<div style="text-align: justify;">
Arrivato 14 anni dopo <i>Festen</i>, <i>Il sospetto</i> si presenta come un opera scritta e diretta con una precisione quasi chirurgica. La grandezza dell'opera sta nel fatto che non sfocia mai nel banale, neanche quando la bambina comincia a mentire su Lucas. L'assunto è quello che tutti conoscono "i bambini non mentono mai", ma Vinteberg ci mostra l'antefatto per evitare ogni dubbio sul protagonista: Lucas è innocente, lo sa lui e lo sappiamo noi. Il regista danese compie una sorta di miracolo cinematografico, chiedendo aiuto al suo pubblico per il protagonista, ingiustamente accusato e tagliato fuori da tutte le attività sociali, restando sempre più isolato e a convivere con il suo dolore. La calunnia si è fatta cancro, Lucas è un mostro. Un pedofilo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Vinterberg ci prende per mano e decide di mostrarci uno spaccato di attualità struggente. La macchina da presa non è distante dallo sguardo del protagonista, i suoi occhi possono essere i nostri e viceversa. Ciò che appare sul grande schermo è una verità conseguenziale ad una bugia, un contrasto emblematico nella storia del cinema che questa volta da vita ad un vero e proprio capolavoro. Semplicemente strepitoso!</div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-24632790211838341192012-11-15T13:40:00.000+01:002012-11-15T13:40:02.935+01:00REALITY<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Di Matteo Garrone</span></span><div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Con Aniello Arena, Claudia Gerini, Arturo Gambardella, Nunzia Sciano, Ciro Petrone, Loredana Simioli.</span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLdN__Pp4vqbkiUBQsscJI-mZtALAzsKjGtgk5OeJb0-0utlUzh_cEeMziC6NXO4cLoM_SRdCRpR9pY7Qkj8PQLbq_boYkX_fXVSr_zdtthiSXDUZP47PAUHSnZyGqKIoWv4ttSboIIsk/s1600/A-Reality-Garrone1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLdN__Pp4vqbkiUBQsscJI-mZtALAzsKjGtgk5OeJb0-0utlUzh_cEeMziC6NXO4cLoM_SRdCRpR9pY7Qkj8PQLbq_boYkX_fXVSr_zdtthiSXDUZP47PAUHSnZyGqKIoWv4ttSboIIsk/s320/A-Reality-Garrone1.jpg" width="224" /></a></div>
<div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Italia 2012 - 01 Distribution - Durata 110 minuti.</span></span></div>
<div>
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Durante tutto l'arco della storia del cinema, in tanti si sono cimentati nell'esperimento di trattare "il cinema attraverso il cinema". A questo proposito risulta interessante l'opera ultima di Matteo Garrone: <i>Reality </i>è un film che parla di cinema, ma soprattutto <i>Reality </i>è cinema. L'ibridazione tra finzione e realtà viene manifestata in maniera impeccabile, servendosi di storie di ordinaria quotidianità, mescolate alla finzione quasi fiabesca come quella dell'inizio del film. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Luciano, un pescivendolo padre di famiglia, rimane intrappolato dalla troppa televisione (sindrome da Grande Fratello), cosi tanto da non riuscire più a distinguere il vero dal falso. L'ossessione di quegli occhi puntati addosso lo manda fuori di senno, facendolo immergere in un mondo fatto di sogni e di false speranze. Il protagonista decide di fare il provino per entrare nella casa del GF, forse spinto dal successo ottenuto da un suo concittadino sicuramente più fortunato di lui. La sua sicurezza e spavalderia fanno si che Luciano si convinca di aver superato in maniera egregia il provino e la troppa convinzione lo porterà a provocare disgraziati eventi che influiranno sulla sua famiglia. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #333333; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12px; line-height: 16px;">Matteo Garrone conferma le sue doti tecniche e stilistiche con un altro capolavoro che si allinea a <i>Gomorra </i>se si parla di realtà accostata all'assurdità, quale potrebbe essere l'opera tratta dal libro di Saviano per uno straniero che ad esempio non conosce la situazione in Italia. Nel caso di <i>Reality</i>, l'ignoranza e la pazzia della gente per i reality, ma più in generale per il successo, provocano nello spettatore una sorta di straniamento, forse troppo accelerato per potersi immedesimare, eppure questi casi si nascondono dietro ogni angolo. E' sbagliato, forse, considerare, questo film come una denuncia sociale. Questa volta Garrone costituisce un'altro dei suoi universi chiusi, dalla quale è impossibile (sia per il protagonista che per lo spettatore) venirne fuori. La maschera e il volto del protagonista si ibridano in maniera omogenea non riuscendo più a distinguere l'una dall'altra. Sin dall'inizio del film con una sorta di "effetto notte" il regista partenopeo ci lancia un messaggio d'avviso: il suo cinema non è reale, ma è sulla realtà intesa in senso spaziale. La macchina da presa si muove dall'alto mostrandoci, attraverso pianisequenza efficaci, tutti i "fuoriscena". Nel cinema di Garrone non è concesso posarsi su qualcosa, qualcuno, un volto o una battuta, mentre ciò che conta resta dall'altra parte, dalla sua posizione, il fuoricampo o "fuori dalla casa". I suoi occhi non calano dall'alto come rapaci, piuttosto di infettano con ciò che vedono, un po' come accade per il protagonista del film. Luciano e gli altri personaggi con i loro dialoghi sembrano riportarci alla mente gli spettacoli di Edoardo. Ancora teatro quindi, finzione e realtà su un palcoscenico. La realtà c'è e si manifesta sotto forma di spettacolo, sembra assurdo eppure è ciò che stiamo vivendo/vedendo ed è ciò che ci mostra Garrone. </span></span></div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-1498223984868730592012-10-17T11:12:00.000+02:002012-10-17T11:19:32.338+02:00ON THE ROADUn film di Walter Salles.<br />
Con Kristen Stewart, Garrett Hedlund, Kirsten Dunst, Sam Riley, Viggo Mortensen.
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<div class="linknolinkrosa" id="attori_comprimi" style="display: none;">
«continua</div>
<div id="attori_continua" style="display: none;">
<a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=56801">Amy Adams</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=100580">Tom Sturridge</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=1744">Steve Buscemi</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=97631">Elisabeth Moss</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=67307">Alice Braga</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=158676">Danny Morgan</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=54250">Terrence Howard</a></div>
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<span style="font-weight: normal;">Drammatico</span>
</b>
- USA<b> <span style="font-weight: normal;">2012</span></b>.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQecQpK28Vcqcl-9QbYhMh1L84ZFIwLKGx4z21GGbN_-F2O2Yqst_ACKr8AqvOy23y1YgvAxcLcQRj5p90RRTEJDoYafmKi7rFhmI_fYqCHp2SvXP3yP6JuwXL16mIzmoSnVAfkIGy_2o/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQecQpK28Vcqcl-9QbYhMh1L84ZFIwLKGx4z21GGbN_-F2O2Yqst_ACKr8AqvOy23y1YgvAxcLcQRj5p90RRTEJDoYafmKi7rFhmI_fYqCHp2SvXP3yP6JuwXL16mIzmoSnVAfkIGy_2o/s320/locandina.jpg" width="251" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Walter Salles non è decisamente sulla strada giusta. Questa è la prima riflessione che si può fare dopo aver visto <i>On the Road</i>. Il film tratto dal romanzo di Jack Kerouac non viaggia: statico, scontato, sempliciotto e ripetitivo. L'opera del regista di <i>Central do Brasil</i> e <i>I diari della motocicletta</i> non conduce in nessun luogo, annullando la cosiddetta cartolina americana alla <i>Easy Rider</i> e i canoni del classico road-movie che tanto si è contraddistinto nella New Hollywood. Proprio Francis Ford Coppola, uno dei pionieri di quella generazione di cineasti, è il produttore esecutivo del film (i diritti del romanzo li acquistò nel 1979 e non riuscì mai a farne un adattamento) non potendo avere Gus Van Sant, da lui cercato per girare la pellicola, si affida a Salles dando vita ad una delle pellicole più imbarazzanti della storia del cinema. Sicuramente riportare sul grande schermo tutta l’esperienza on the road del viaggio di Sal e
Dean alla ricerca di se stessi e dell'America
(accompagnati dalla sedicente libertina Marylou) non era compito
facile. Tuttavia, un risultato così piatto era difficile da pronosticare: il film sembra un mix di pellicole già viste (da Bertolucci a Hopper). Se i diari della motocicletta di Salles erano riusciti a convincere il pubblico e la critica, questa volta un'altro diario risulta decisamente meno convincente. La storia non decolla, difficile immedesimarsi nei personaggi nonostante possano essere identificabili come dei <i>dreamers</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
Sogni infranti, quindi, per chi si aspettava di vedere sul grande schermo il loro libro preferito o comunque un capolavoro che ha trasmesso tanto ai lettori di tutto il mondo. "Bisogna annullare il costo della vita" continuano a ripetere i protagonisti del film, peccato che l'unica cosa che <i>On the road</i> sia riuscito ad annullare è proprio la bellezza del romanzo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Anche la recitazione è apparsa deludente, annullando star dal calibro di Kirsten Dunst, Viggo Mortensen e Steve Buscemi. La giovane e seducente Kristen Stewart prova ad allontanarsi dalla monotonia quotidiana, ma l'unico risultato che ottiene è un replicarsi di scene identiche che appaiono più monotone e noiose della stessa vita di tutti i giorni. Tanto sesso e tanta droga, poco Kerouac e On the Road. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-8535840607561512602012-10-11T15:44:00.000+02:002012-10-11T15:44:06.122+02:00UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA<span style="color: black;">Un film di Jacques Audiard </span><br />
<span style="color: black;">Con </span><span style="background-color: white; color: black;">Marion Cotillard</span><span style="background-color: white; color: black;">, </span><span style="background-color: white; color: black;">Matthias Schoenaerts</span><span style="background-color: white; color: black;">, </span><span style="background-color: white; color: black;">Armand Verdure</span><span style="background-color: white; color: black;">, </span><span style="background-color: white; color: black;">Céline Sallette</span><span style="background-color: white; color: black;">, </span><span style="background-color: white; color: black;">Corinne Masiero. </span><br />
<span style="background-color: white; color: black;">Titolo originale De rouille et d'os. </span><br />
<span style="background-color: white; color: black;">Drammatico<strong>, </strong>durata 120 min. - Belgio, Francia 2012.</span><br />
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<div style="text-align: justify;">
Passato in concorso a Cannes e clamorosamente rimasto fuori dai titoli vincitori del festival, <em>Un sapore di ruggine e ossa</em>, liberamente ispirato alla raccolta di racconti brevi di Craig Davidson, è un sorprendente melodramma ricco di brutalità, rabbia, disincanto e tenerezza capace di farci ascoltare, in sala, "tutti i battiti del nostro cuore". </div>
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLCegXR67CtEdmMpsOVLpMHfg_u4DcqN-pVbz3tx0LlOaEtCW83JgWBe1RBxUvJNPIMHk2VLDmon7ynQEa19edrkTjSjYc0IyeuqoeOUS0DVRyTf92aLh8TaEV85SAgyWXI_oBlOT3-yQ/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" nea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLCegXR67CtEdmMpsOVLpMHfg_u4DcqN-pVbz3tx0LlOaEtCW83JgWBe1RBxUvJNPIMHk2VLDmon7ynQEa19edrkTjSjYc0IyeuqoeOUS0DVRyTf92aLh8TaEV85SAgyWXI_oBlOT3-yQ/s320/locandina.jpg" width="225" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Le figure del cinema di Jacques Audiard sono condannate alla staticità, pur essendo in continuo movimento e in cerca di cambiamenti. Lui è Ali (Matthias Schoenaerts), un ragazzo padre che dimostra tutte le sue mancanze paterne nei confronti di suo figlio (di 5 anni) Sam. I due si trasferiscono dalla sorella di Ali, la quale aiuterà il protagonista a trovare lavoro come buttafuori. Lei, Stephanie (Marion Cotillard), è istruttrice di orche, una ragazza di bell'aspetto che adora avere gli occhi degli uomini puntati su di lei. I due si conoscono una sera in discoteca, dopo una rissa che vedrà coinvolta la ragazza, la quale sarà accompagnata a casa proprio da Ali. Qualche giorno dopo, Stephanie subirà un incidente durante uno spettacolo con le orche e sarà costretta a portare delle protesi alle gambe per poter camminare. Dopo questo tragico evento i due si ritroveranno, rappresentando per entrambi uno spiraglio di luce in una buia e triste vita.</div>
<div style="text-align: justify;">
Passionale e struggente, sporco e doloroso, carnale e metallico, l'ultimo film del regista francese si accosta alle sue precedenti opere: la prigione de <em>Il profeta</em>, cosi come la discoteca di <em>Sulle mie labbra</em>, sono luoghi di prigionia per le figure del suo cinema. Il <em>sapore</em> del sangue nella bocca causato dai pugni incassati da Ali, quando le labbra si spaccano nell'urto con i denti. Sono questi dei colpi che l'ex pugile e kickboxer Ali continua a dare e a ricevere dalla vita, come quelli che subisce Stephanie risvegliandosi in un letto d'ospedale e vedendosi costretta ad ascoltare nel vento il suo passato e le note della stessa canzone che le faceva da sottofondo durante i suoi spettacoli con le orche, o ancora ritrovandosi solo dietro un vetro che la separa dalle orche, dalla sua vita passata che mai più ritornerà. Proprio il ritorno è quello che cercano i protagonisti del film; impossibile bloccare il tempo, riappropiarsene. Essi sono consapevoli del fatto che un granello di felicità andrà via con la prossima soffiata di vento, sempre pronto ad arrivare. Mai banale, mai scontato, neanche un minuto può essere considerato prevedibile, perché ciò che la macchina da presa ci mostra è proprio lo scontro, la collisione tra desiderio e realtà, tra i pugni e le carezze. Come la protagonista di <em>Sulle mie labbra</em>, anche Stephanie porta delle protesi e cosi come Cassel aveva bisogno di Emanuelle Devos, anche Ali si aggrappa a Stephanie, come se quelle protesi di cui sentono disperatamente il bisogno, in realtà sono proprio loro. Jacques Audiard con quest'ultimo film si conferma uno dei più grandi registi contemporanei, utilizzando la macchina da presa per mostrarci una sorta di esplosione pronta ad avvenire da un momento all'altro, causata da una frase, un gesto, un dettaglio. In questo senso l'autore, come l'orca, causa l'incidente. <em>Un sapore di ruggine</em> e ossa sembra di vederlo immersi sott'acqua, fino all'ultimo respiro, al di là della vita e una volta tornati su sarà possibile rivedere la luce, ritrovarsi davanti ad una seconda possibilità, proprio come quella di Ali con suo figlio. </div>
CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-38098339883999602282012-09-19T13:41:00.000+02:002012-09-19T13:41:53.884+02:00Monsieur Lazhardi Philippe Falardeau. <br />
Con Fellag, Sophie Nélisse, Danielle Proulx, Jules Philip, Émilien Néron. <br />
<div class="linknolinkrosa" id="attori_espandi" style="display: inline;"> </div><div class="linknolinkrosa" id="attori_comprimi" style="display: none;">«continua</div><div id="attori_continua" style="display: none;"> <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=172236">Brigitte Poupart</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=97760">Francine Ruel</a>, <a href="http://www.mymovies.it/biografia/?a=172237">Louis Champagne</a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjN8e37ITzr4PxB_loiyyhUrL8zxa3554_f5_CCroRw7VM64Ub4HUKr2R8z16QKOao8RqDnqaoapDczb9qaYaHl6NOWMIsfgxT7cTxMwmYFg5JyQ36BznAumILK5G-BIqk3N5NRkOuPhSQ/s1600/locandinapg2monsieur.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjN8e37ITzr4PxB_loiyyhUrL8zxa3554_f5_CCroRw7VM64Ub4HUKr2R8z16QKOao8RqDnqaoapDczb9qaYaHl6NOWMIsfgxT7cTxMwmYFg5JyQ36BznAumILK5G-BIqk3N5NRkOuPhSQ/s320/locandinapg2monsieur.jpg" width="219" /></a></div>Drammatico, durata 94 min.- Canada 2011.<br />
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<div style="text-align: justify;">A Montréal, in una scuola elemetare, una insegnante si impicca nell'aula dove teneva sino al giorno precedente le sue lezioni. Questo lutto diventa un trauma per i bambini della scuola, i quali, secondo la preside, avranno bisogno di una psicologa, una volta alla settimana, che cercherà di aiutarli senza però alcun esito positivo. Il personaggio chiave per sbloccare questo trauma, sarà proprio mounsieur Lazhar, un immigrato algerino dall'oscuro passato. Sarà lui a sostituire la precedente insegnante e con diverse difficoltà, tenterà di entrare nel cuore dei suoi alunni e forse attraverso il loro aiuto, cercherà di risolvere anche i suoi problemi e di superare le sue paure. </div><div style="text-align: justify;">La pellicola di Philippe Falardeau, dopo aver riscontrato un discreto successo da un festival all'altro, arriva nelle sale italiane e incanta con scene di maestria registica e narrativa. Dopo aver visto <em>La classe</em>, film francese del 2008 interamente girato in una scuola, ci ritroviamo davanti ad un opera che riprende lo stesso filone. Tanti sono gli elementi che ricordano la pellicola francese, anche il fatto che nonostante sia un film di produzione canadese, comunque ci troviamo a Montréal. Il cinema canadese è sempre stato a caccia di una sua vera identità. Questa mancanza di una propria storia, di un proprio passato nazionale che riguarda la sua identità, è presente anche in <em>Monsieur Lazhar</em>. Il protagonista del film incarna il Canada, le sue paure, le sue relazioni, i suoi traumi e le sue mescolanze. Cosi come altri cineasti canadesi, su tutti David Cronenberg, Philippe Falardeau racconta la sua fiaba canadese attraverso il personaggio di Lazhar. Come una farfalla che lascia la sua crisalide, il film evidenzia il distacco da un passato e dalle paure che ombreggiano nelle vite di ognuno di noi. I bambini della scuola elementare di Montréal sono afflitti da un dolore che fatica ad essere esternato, ma che piuttosto rimane dentro di loro e che difficilmente andrà via. La grandezza di questo film probabilmente sta proprio in questo: i bambini affrontano il dolore proprio come l'adulto Lazhar. Entrambi affrontano i loro sensi di colpa nello stesso modo, nella propria intimità. Il protagonista del film di Falardeau attraverso l'aiuto dei suoi alunni condurrà un viaggio alla ricerca di una rinascita, proprio come quella che sta avvenendo al suo paese. </div>CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-13583129451171299412012-06-05T14:11:00.002+02:002012-06-05T20:11:39.371+02:00MARILYNUn film di Simon Curtis. <br />
Con Michelle Williams, Eddie Redmayne, Julia Ormond, Kenneth Branagh, Pip Torrens. <br />
Biografico. Durata 99 min. - Gran Bretagna, USA - 2011.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEXillyStVlYQQ8sN8Nv9K2uwGk4nMjud51JRFK_SOx4eMGXqlbU3t32nB9BbSfAJF8QX5RzP0Bm0d1hRGtfhU9mGYofPhRKgJBHDPOzTkb5dgjlnYuQBa-IfmGFEv9VqRXaF6tBs84w8/s1600/myweekwithmarilyn1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEXillyStVlYQQ8sN8Nv9K2uwGk4nMjud51JRFK_SOx4eMGXqlbU3t32nB9BbSfAJF8QX5RzP0Bm0d1hRGtfhU9mGYofPhRKgJBHDPOzTkb5dgjlnYuQBa-IfmGFEv9VqRXaF6tBs84w8/s320/myweekwithmarilyn1.jpg" width="229" /></a><br />
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<div style="text-align: justify;">Cosa succederebbe se il cinema incontrasse il cinema? Una domanda emblematica alla quale possiamo rispondere con una pellicola uscita in sala quest'anno: <i>Marilyn</i>. </div><div style="text-align: justify;">Marilyn Monroe è il cinema, eppure attraverso la pellicola targata Simon Curtis è possibile mettere luce alla questione attoriale della diva. </div><div style="text-align: justify;">Marilyn, da poco sposata con il suo terzo marito Arthur Miller, nell'estate del 1956 arriva in Inghilterra per girare <i>Il principe e la ballerina</i> in compagnia di Laurence Olivier, dove ha modo di conoscere il terzo assistente alla regia, un certo Colin Clark. Quest'ultimo, autore del libro dal quale è ispirata l'opera cinematografica in questione, a soli 23 anni, appena laureato, riesce a ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo del cinema grazie alla sua caparbietà. Il sogno per lui comincia da qui, incontrando Marilyn, con la quale vive una travolgente storia "d'amore". </div><div style="text-align: justify;">Il film di Curtis mette in rilievo il personaggio della Monroe (interpretato da una straordinaria Michelle Williams che riesce a vestire i panni della diva senza sembrare la sua parodia), attraverso gli occhi del vero protagonista Clark, smascherando la sua debolezza e fragilità nel sentirsi poco talentuosa sul grande schermo. Marilyn è sempre stata sotto i riflettori, garante del successo di ogni pellicola a cui partecipava, ma nonostante ciò le sue doti attoriali lasciavano a desiderare. Il film mostra come la Monroe soffrisse di questa sua lacuna, come la diva viveva la sua vita privata e di come si plasmasse quando aveva gli obiettivi puntati addosso. </div><div style="text-align: justify;">Cercando di dare una risposta alla domanda di partenza, il cinema quindi incontra la bellissima Marilyn Monroe, posando l'accento sulla bellezza estetica del personaggio in contrasto con la sua cadenza attoriale. Ma non è ciò che vediamo nel film <i>Il principe e la ballerina</i>? </div><div style="text-align: justify;">Laurence Olivier sa benissimo che il suo film attirerà la gente per la sua protagonista, ma è consapevole anche del fatto che la riuscita del film non è ciò che si aspettava in partenza. Il cinema è sempre stato multiforme: quell'alternare qualità ad intrattenimento, la poesia alla risata, l'arte al trash. <i>Marilyn</i> è tutto questo, un mix di arte ed intrattenimento. Curtis fa resuscitare il personaggio della Monroe, grazie ad una Michelle Williams straordinaria, perché sa che lo spettatore si recherà in sala, proprio come accadeva ai tempi de <i>Il principe e la ballerina</i>, conoscendo il pericolo al quale va incontro: una storia poco avvincente, una biografia fragile quanto Marilyn che però resta la perfetta incarnazione del cinema stesso: quell'ambiguità tra realtà e finzione.</div>CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6584596068931094798.post-20597686965998923002012-06-01T13:17:00.002+02:002012-06-03T13:01:14.089+02:00COSMOPOLISUn film di David Cronenberg. <br />
Con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel. <br />
Drammatico, durata 105 min. - Canada, Francia 2012.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0XwERGmVBYu_RVMjPs3DT1SGHUgmEvEEU2AGQ_4G9LdWupo_QUn9t_G7r-aceWcfWVSRHPjGE8zHvQVc0Xg9jyRTynu45VN5eXbKlgzWJAJ1dOKiqyTs5GgtnwWQw5IEfpktf3dJuF5s/s1600/cosmopolis.jpg" imageanchor="1" style="clear:right; float:right; margin-left:1em; margin-bottom:1em"><img border="0" height="320" width="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0XwERGmVBYu_RVMjPs3DT1SGHUgmEvEEU2AGQ_4G9LdWupo_QUn9t_G7r-aceWcfWVSRHPjGE8zHvQVc0Xg9jyRTynu45VN5eXbKlgzWJAJ1dOKiqyTs5GgtnwWQw5IEfpktf3dJuF5s/s320/cosmopolis.jpg" /></a></div><br />
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Sono passati ben 37 anni da quando David Cronenberg diede luce ad un' opera intitolata <i>Il demone sotto la pelle</i>. Oggi quello stesso demone non si accontenta più di restare rinchiuso, il topo che striscia nelle fogne è finalmente venuto fuori e prepotentemente acquista valore. Il giovane e potentissimo guru della finanza Eric Packer (interpretato da Robert Pattinson) attraversa molto lentamente la città di New York per un semplice capriccio: aggiustare il suo taglio di capelli. Gli uomini della sicurezza a sua disposizione lo avvertono delle minacce incombenti sulla sua persona e del frenetico caos che regna per le strade di NY a causa della visita del Presidente degli Stati Uniti. Malgrado tutto, il testardo Pattinson decide di ri-tornare dal suo parrucchiere di fiducia, lo stesso con cui chiacchierava da piccolino in compagnia di suo padre. Ed è proprio questo il perno cinematografico dell'opera: il ritorno. Cronenberg torna al suo amato cinema dominato dalla mutazione, dalla morte, dal virus della società americana, quello stesso virus che il regista canadese da tanto tempo, inesorabilmente, tratta come una contaminazione alla quale è impossibile sfuggire. <i>Cosmopolis</i> (tratto dall'omonimo romanzo di DeLillo) và però oltre ciò che Cronenberg ha tentato di mostrarci sino ad oggi, questa volta ci troviamo davvero in un punto di non ritorno. Eric è un costrutto della società capitalista americana, vive nel suo mondo (la limousine), parla la stessa lingua di tutti i personaggi che incontrerà, ma gli argomenti trattati fluttuano nell'aria e restano scostanti. Come Ulisse cerca la sua Itaca, Pattinson cerca quel ritorno ad uno stato primordiale senza alcuna contaminazione sociale che però, secondo Cronenberg, non può esserci. Eric percorre la sua via crucis che lo condurrà verso la morte, una morte che però si manifesta sin dai primi minuti del film percepibile sotto ogni desiderio impossibile del protagonista. Sesso, potere, trasgressione, bellezza sono elementi che Eric possiede, ma ogni qual volta desidera qualcosa, questo suo desiderio risulta impossibile, come il voler far sesso con sua moglie, possedere la Rothko Chapel: la felicità è lì davanti, ad un passo da lui, ma non può essere toccata. Il punto di non ritorno è raffigurato dall'insoddisfazione del protagonista, quella bellezza che veste i panni del terrore e del disgusto, una nuova frontiera della trasgressione, raffigurata dall'<i>iper</i>, dal <i>post</i>. Se, però, facciamo un passo indietro, come i migliori film western insegnano, ciò che conta non è la meta, ma il viaggio ed è attraverso questo che Eric prende conoscenza del suo essere. Il male incombe sul mondo odierno, il virus è ovunque, il contagio c'è già stato: puoi imbottire la tua limousine di sughero quanto vuoi, ma non servirà ad esternare i rumori caotici del mondo in cui vivi. Il pellegrinare di Eric si conclude in una sorta di confronto finale, con Benno (un Paul Giamatti che dà libero sfogo a tutto il suo talento attoriale), che ci regala un po’ di humour ad un epilogo decisamente drammatico. Benno odia Eric, odia ciò che egli rappresenta ed è deciso ad ucciderlo ad ogni costo, forse perché questa potrebbe essere l'unica guarigione alla sua malattia. Il rapporto peccatore/prete, paziente/medico, che intercorre nella scena finale del film è l'emblema di tutto il cinema cronenberghiano. "Tu dovevi salvarmi" confessa Benno ad Eric, ma l'ultima pellicola del regista canadese non accetta vie di fuga. Parole su parole che portano ad altre parole e che conducono verso un'unica strada rappresentata dal nulla. Ed è proprio qui che si può scorgere quest'ultima mutazione messa in scena da Cronenberg: la perdita della presenza reale in un'umanità disincarnata, raffigurata già dal <i>post</i>, appunto.<br />
All'interno di una limousine che veste i panni di una sala di regia, dentro la quale è possibile rivedere tutto (con un'ottica decisamente diversa,"asimmetrica" come la prostata del protagonista), controllare tutto ciò che avviene là fuori, Cronenberg prende posto accanto al suo Pattinson per mostrarci il tema del denaro e di come plasma il mondo (come il regista stesso sostiene) e da quella stessa sala sembra che ci stia urlando: <i>Destroy the past, make the future!</i>CineCriticahttp://www.blogger.com/profile/00912895382255356546noreply@blogger.com1