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martedì 25 ottobre 2011

This Must Be The Place: alla ricerca della verità.


Cheyenne, una rockstar in pensione che sembra assumere le sembianze eccentriche di Robert Smith (cantante dei Cure), è il protagonista di quest'opera ultima di Paolo Sorrentino. Avevamo lasciato il regista italiano alle prese con la narrazione della vita di Giulio Andreotti (interpretato dal fedele Servillo): un film in cui si cercava di mostrare al pubblico una verità nascosta dalla politica italiana. L'autore di casa nostra infatti, non ha mai nascosto nella sua filmografia il tentativo di smascherare la verità attraverso viaggi d'esplorazione ora di personaggi, ora di cronaca. In questo caso le vicende riguardano Cheyenne (interpretato da un ottimo Sean Penn) che, venuto a conoscenza della morte del padre col quale non si parlava da 30 anni, parte alla ricerca di vendetta contro un uomo che ha "torturato" la sua figura paterna durante l'olocausto. Da qui il film sembra assumere le sembrianze di un vero e proprio "on the road", dove il vero protagonista sembra essere il tempo ( - Il problema è che passiamo troppo velocemente dall'età in cui diciamo "farò così" a quella in cui diremo "è andata così" -  frase detta da Cheyenne). Se, come suggerisce il titolo della canzone dei Talking Heads, il posto è quello giusto, non si può dire lo stesso del tempo. Il personaggio interpretato da Sean Penn è una figura depressa, costretta a portare con se il peso dei suoi errori (attraverso un carrello o una valigia) e che intraprenderà, con netto ritardo, un viaggio verso la sua maturazione che lo condurrà ad uno stato di smascheramento di personalità. Un indizio fondamentale per la comprensione dell'opera sorrentiniana, ci viene dato nella sequenza dell'ascensore, quando Penn espone ad alcune ragazze il segreto per mantenere più a lungo il rossetto sulle labbra ( il trucco sta nel mettere un pò di cipria sotto il rossetto, dice il protagonista alle ragazze), segreto che rivela la vera intenzione di Sorrentino nel ricercare la verità al di sotto delle apparenze. Proprio questo "trucco nascosto" ci apre la strada verso la lettura di ogni singola sequenza filmica: se il Muccino internazionale ricercava la felicità, Sorrentino si occupa della ricerca della verità. Non ci è nuova questa scelta autoriale da parte del regista Napoletano: sin dalle sue prime opere, infatti, l'autore guida i suoi personaggi allo smascheramento di lato occultati dalla finzione, dalle menzogne, proprio come avviene per Cheyenne. Sarà lui che intraprenderà il suo viaggio alla ricerca della verità su suo padre, guidato da un sentimento di vendetta in puro stile "Kill Bill" (Sorrentino ama il cinema di Tarantino), il tutto condito da qualche sprazzo di ironia che alleggerisce i toni di una storia troppo dura per medesimarsi sino infondo (Sorrentino inserisce delle carrellate in avanti e indietro per avvisarci quand'è il momento di tenere le distanze dalla catastrofe storica). Il procedimento adoperato dal regista partenopeo si accosta a quello di Benigni con "La vita è bella", distaccandosi solo se si parla di scelte stilistiche e autoriali. Entrambi hanno mostrato al pubblico verità terrificanti servendosi dell'arte del sogno, qual'è il cinema. Il dibattito finzione/realtà c'è e si vede, riferendosi ai mass media che oggi ci bombardano di false speranze, mascherando la verità sul fondo di altre realtà futili: la gente non dovrebbe essere interessata a vedere il pistacchio più grande del mondo, piuttosto chiedersi dove sia quello più piccolo. Cheyenne/Sorrentino  più volte afferma: "qualcosa mi ha disturbato, non so bene cosa, ma qualcosa mi ha disturbato", forse è proprio quest'occultamento del reale che disturba l'autore italiano. Egli infatti, disperato come il suo personaggio, tenta ancora una volta di aprire gli occhi al pubblico e di indirizzarlo alla ricerca del pistacchio più piccolo e non quello da primato mondiale (troppo facile da vedere): sappiamo tutti che non si avvererà mai questo desiderio sorrentiniano, sappiamo tutti che non è vero, ma è bello sentirselo dire. 

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