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Blog a cura di Mimmo Fuggetti

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venerdì 28 ottobre 2011

MELANCHOLIA: La fine del mondo secondo Lars Von Trier.

Si è tanto parlato dell'ultima opera del regista danese durante il festival di Cannes, dove Kirsten Dunst è riuscita a portare a casa la palma d'oro per il ruolo di miglior attrice. Il film è strutturato in due parti completamente discordanti tra loro, precedute da un'intro onirica e a tratti profetica che anticipa le sorti dei protagonisti. Non ci è nuova la stilizzazione teatrale di Lars Von Trier che dopo il film Dogville, riprende in parte gli schemi teatrali intitolando i due atti del film con i nomi delle due sorelle protagoniste, Justine e Claire. La figura di Justine (interpretata dalla Dunst) sembra assumere le sembianze di Dr. Jekyll e Mr. Hyde (Justine infatti, dal momento in cui si accorge della presenza del pianeta, cambia completamente personalità facendo uscire fuori il suo "io interiore", quasi come se il suo segno zodiacale fosse strettamente legato al pianeta Melancholia). Claire, a differenza della sorella "lunatica", rappresenta la figura più realistica dell'opera e che consente all'autore di ristabilire un certo ordine filmico. Claire sembra essere l'unica ad accorgersi della minaccia incombente sul nostro pianeta, preoccupandosi soprattutto delle sorti del figlio Leo. Nel primo atto Lars Von Trier ci mostra le nozze di Justine dove la protagonista, proprio durante quello che dovrebbe essere il giorno più bello della sua vita, decide di distaccarsi da quelle che sono considerate le istituzioni sociali per eccellenza (lavoro, matrimonio, ecc), dando un calcio alla sua vita (seguendo le idee della figura materna) e incarnando tutti gli elementi presenti nella filmografia dell'autore. Lars Von Trier, infatti, si è sempre contraddistinto per la sua impronta antireligiosa, antimoralista e più che realista se si parla dello scontro tra scienza e fede, ottimismo e pessimismo (impersonificati rispettivamente dal cognato di Justine e da sua sorella). Egli, come abbiamo modo di vedere nelle sue opere, è un autore che predilige il male e questa sua caratteristica, viene evidenziata con una frase del film, quando Justine invita sua sorella a riflettere su tutta la cattiveria che è presente sul pianeta terra. Forse è per questo che la protagonista decide di rimanere immobile durante l'imminente catastrofe e si sbilancia con un gesto d'affetto (la presa di mano finale) solo al termine della pellicola. Il bilancio finale del film è a metà tra il capolavoro e una vera e propria opera d'arte: tante sono le immagini che sembrano essere dei quadri appesi in sala, ma ciò che non convince (nonostante la pellicola possa risultare più che riuscita) è proprio l'atteggiamento di Justine che, ad un certo punto, si snuda senza un significato particolare sotto il pianeta Melancholia, quasi come se il regista stesse calcando la mano per mostrare al pubblico i suoi "dipinti" a volte evocativi, altre troppo sperimentali. La sua figura è talvolta incomprensibile e, proprio come accade per il pianeta, servirebbe un telescopio per studiarla da vicino. Il film, quindi, appare come una vera e propria opera d'arte non facile da decifrare, ma ricco di contenuti di alta qualità: struggente, sperimentale, mortale.

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