INTRODUZIONE
“Tutto nelle nostre
vite ci ha portato a questo momento”
Benno Levin (in Cosmopolis)
Sono passati ben
37 anni da quando David Cronenberg diede luce ad un' opera intitolata Il
demone sotto la pelle. Oggi quello stesso demone non si accontenta più di
restare rinchiuso, il topo che strisciava nelle fogne è finalmente venuto fuori
e prepotentemente acquista valore.
David Cronenberg
nasce a Toronto il 15 marzo del 1943, da una famiglia ebraica e in questa stessa città si innamora del cinema,
privilegiando quello europeo a quello americano. L’influenza del posto in cui
nasce e cresce gioca un ruolo fondamentale per la formazione cinematografica
del regista canadese. Come egli stesso sostiene, in Canada si vive come paralizzati
dietro una frontiera, non ci si muove, a differenza di quanto accade in
America. Proprio questa immobilità esplicitata
da Cronenberg prende vita nelle sue opere, accostandosi alla mutazione: i suoi film restano stabili
per quanto riguarda le tematiche, eppure presentano diverse forme di mutazione.
Il paradosso di questo autore è racchiuso in questo desiderio, quello di
discostarsi dall’immobilità canadese, dalle proprie radici, senza però rinnegarle,
ma piuttosto manifestandolo attraverso molteplici forme di mutazione. Il suo
cinema deve tanto alla città di Toronto, in particolare le sue prime opere.
Gianni Canova prova a mettere luce sulla crescita e sull’influenza del regista
canadese:
Cronenberg
non è semplicemente canadese. E’ di Toronto. Vi nasce il 15 marzo 1943, in una
famiglia ebrea composta da un padre giornalista-scrittore e da una madre
musicista. A Toronto Cronenberg frequenta il liceo, studia all’università, si
laurea in letteratura inglese. E’ a Toronto si innamora del cinema: non tanto
di quello spettacolare e hollywoodiano (che pure conosce molto bene), quanto di
quello che egli stesso definisce “oscuro” e che comprende autori europei come
Jancsò e Resnais, Bergman e Antonioni. Toronto non è una città qualunque. Vi
insegna Marshall McLhuan. E vi si rifugia un ribelle transfuga dagli Usa come William Gibson, che proprio nella città
di Cronenberg licenzia il suo primo romanzo nel 1983. […] Forse una vocazione
come quella di Cronenberg, indecisa tra l’entomologia (mosche, scarafaggi,
millepiedi) e la letteratura (Burroughs, ma anche Nabokov, Henry Miller,
Beckett), oscillante fra la facoltà di scienze e quella di Belle Lettere, è più
possibile a Toronto che a Los Angeles o Detroit. Forse il genius loci non è solo un’invenzione dei romantici o degli
antropologi della cultura. Comunque sia, quel che è certo è che il cinema di
Cronenberg – almeno quello degli esordi – deve molto a Toronto: alle sue
architetture, ai suoi edifici, alla sua luce. A quell’atmosfera di ordine
apparente che nasconde un disordine strisciante fatto di impulsi repressi e di
bisogni insoddisfatti. (Canova, 2007 : 14)
La questione del
Canada viene analizzata anche da Marshall McLuhan, ponendo l’accento sulla
qualità canadese nell’essere più predisposto, rispetto ad altri paesi, all’ecumenismo politico dell’era elettronica
che ha portato alla formazione del villaggio
globale. Il canadese Cronenberg quindi sembra voler manifestare le sue
influenze culturali nelle sue pellicole. Uno dei temi centrali che possiamo
riscontrare in tutta la sua filmografia è quindi quello della mutazione. Ma che tipo di mutazione avviene nel cinema di
Cronenberg? E cosa è dovuta?
Si cercherà
quindi di rispondere a questi interrogativi attraverso l’analisi del film Cosmopolis, allacciandoci alle
precedenti opere del regista canadese, riscontrando quanto sia presente la sua
cultura nell’intera filmografia.
CAPITOLO 1
LA MINACCIA
“lui è in giro ed è armato”
Benno
Levin (in Cosmopolis)
Una
particolarità del cinema di David Cronenberg sta nel fatto che i suoi film
cominciano quando tutto è già successo e qualcos’altro sta accadendo: la mutazione.
Sotto alcuni
aspetti, Cronenberg, può considerarsi l’erede di Buñuel, in quanto anche il
regista canadese decide di dare un “taglio” al mondo che conosciamo per
mostrarci altri mondi creati dall’immaginario fantastico. La cultura canadese
infatti, sente il bisogno di dare un’impronta al proprio cinema, che possa
essere un cinema di inventiva e in questo senso Cronenberg cerca quella potenza
che dà libero sfogo all’immaginazione. Nella prova operata dalle classi
dirigenti del Canada, di creare una cultura nazionale concorde, che potesse
fungere da diga all’invadenza americana, il cinema ha giocato un ruolo molto
importante. Diversi registi sono emigrati negli Stati Uniti, altri hanno
preferito rimanere attaccati alle loro origini e remare contro il predominio
americano. David Cronenberg è uno di questi. Il risultato finale è che il
cinema canadese vive una realtà agitata, divisa tra l’integrazione ad Hollywood
e l’affermarsi di una cultura “distrettuale” molto competitiva, anche se
minoritaria. Quindi la minaccia avvertita dal Canada deriva proprio dal
predominio hollywoodiano e dalla sua identità fragile ed eterogenea:
Qui
forse conviene ricordare quanto scritto da Sacvan Bercovitch, il grande
studioso di cultura americana (nato tra l’altro in Canada). Vale a dire: il
Canada rappresenta un caso a sé stante di nazione senza una mitologia che la
fondi. Gli Stati Uniti d’America hanno sempre costruito la loro grandezza sulle
basi di un ben preciso rituale di consenso, attraverso un mito consolidato
storicamente che, pur nelle sue pretese imperialistiche e di superiorità, ha
permesso a ciascuno dei loro abitanti di potersi riferire ad una identità
“americana”. Il Canada sembra invece sempre vincolato a una perenne condizione
di “colonia”, di paese privato di un gesto di appropriazione simbolica nella
costruzione di una identità, al punto da caratterizzarsi soprattutto per una
sorta di “retorica dell’assenza”: l’essere al tempo stesso non europeo, non
americano, non indiano (non armeno…), non mitologico. […] Il problema, semmai,
è che questa Storia e questa mitologia è come se non fossero mai esistiti. (Michele
Fadda, 1999 : 65)
David Cronenberg
paragona il capitalismo alla malattia dell’AIDS cosi come quest’ultima veniva
paragonata ad altre tipologie di virus che contaminavano i personaggi che
compongono la filmografia del regista canadese. Quindi per comprendere questa
condizione prettamente canadese che è restia all’integrazione hollywoodiana
(come se non volesse essere contagiata dal virus) allacciandoci al capitalismo
trattato da Cronenberg in Cosmopolis,
può risultare d’aiuto quanto scritto da Andrew Parker:
This universalizing idiom is itself
the reflection of Canada’s position in the capitalist world system: a Canadian
filmmaker whose primary market is the United States may think himself compelled to efface in his work all
signs of national difference. This conflict between the universal and the
singular cuts deeply throughout Cronenberg’s career. Thinking of his early days
as a filmmaker, he describes how “it was different in Canada, as always. We
wanted to by-pass the Hollywood system because it wasn’t ours. We didn’t have
access to it. It wasn’t because we hated it, but because we didn’t have an
equivalent, and we didn’t have the thing itself”. (Parker, 1993 : 220)
Da quanto
riportato, è avvistabile l’atteggiamento assunto dal Canada e la spaccatura che
si è venuta a creare tra la sua popolazione. La minaccia avvertita dal Canada,
quindi, è quella del mondo hollywoodiano, un virus potentissimo che entra in
circolazione nelle vene della cultura canadese. Su questo punto può essere
d’aiuto quanto scritto da Andrea Giaime Alonge che evidenzia l’approdo di
Cronenberg alla mutazione:
Il
racconto fantastico, per sua natura, è sordo alle ragioni della verità storica
e geografica. Ma se il Canada di Cronenberg è un’entità evanescente, gli
avvenimenti che hanno luogo in questo territorio
di grado zero recano traccia di una delle principali ossessioni canadesi:
la paura della mutazione, della strisciante invasione lanciata dagli Stati
Uniti che, lentamente ma inesorabilmente, trasforma i canadesi in americani.
L’opera di Cronenberg gravita attorno al tema dell’alterazione del corpo e/o
della mente in qualcosa di radicalmente altro.
Il risultato della trasformazione è un monstrum:
un essere dai poteri sovraumani; un individuo regredito alla condizione ferina,
preda dei propri istinti; un ibrido tra l’uomo e la macchina (Videodrome), oppure tra l’uomo e
l’animale (La mosca). (Giaime Alonge,
1997 : 52)
La paura della
contaminazione ha quindi spinto il regista canadese a concentrare il suo cinema
sulla tematica della mutazione. Le molteplici forme di mutamento, uomo/macchina
o uomo/animale, sono riscontrabili nella sua filmografia. Se nel suo primo
cinema, infatti, David Cronenberg si concentrava più sulla trasformazione
corporea del personaggio, adesso sembra spostarsi più verso l’aspetto
psicologico con i suoi ultimi due lavori: A
Dangerous Method e Cosmopolis. La
mutazione percepibile in queste due opere è strettamente legata ai cambiamenti
sociali. Nel primo caso, il triangolo Freud-Jung-Sabina ci mostra la nascita
della psicoanalisi, del cinema e dell’uomo contemporaneo. In Cosmopolis, invece, viene messa in scena
la fine di quell’epoca raffigurata nella pellicola precedente e la catastrofe
del capitalismo. Cronenberg sembra essere approdato ad un punto di non ritorno:
l’apocalisse è vicina e il capitalismo incombe prepotentemente su di noi come un
virus dal quale non si può guarire. Roy Menarini sottolinea come il regista
canadese abbia mostrato la mutazione psicologica in questi due film, pur non
abbandonando l’importanza dei corpi:
Già A
Dangerous Method possedeva un lato di gag glaciali e sotterranee tra
Freud e Jung. Qui, dove si discetta di capitalismo e crisi, Karl Marx sembra
trascolorare in Groucho (un logorroico, guarda caso) e la torta in faccia, le
scenette quasi slapstick fuori dal finestrino dell’auto, il catalogo di ospiti
bislacchi nella limousine del ricco protagonista lasciano pochi dubbi. In
fondo, come spiega la sequenza finale, l’andamento della moneta segue le
asimmetrie dell’anatomia umana. Tutto è corpo, secondo l’antico cantore della
nuova carne, Cronenberg, anche se da qualche anno pare interessato, con ghigno
brechtiano, a riscrivere la storia psicologica dell’uomo moderno occidentale.
(Menarini, 2012 :
http://www.mymovies.it/film/2012/cosmopolis/news/ilcorpoedenarofirmatocronenberg)
Probabilmente,
l’interesse che David Cronenberg prova verso l’aspetto psicologico è strettamente
collegato quindi al cambiamento sociale del mondo odierno. L’operazione che il
regista canadese compie nei suoi film sta proprio nella divisione tra mente e
corpo. Come egli stesso sostiene:
Buona
parte del pensiero filosofico più elevato ruota attorno all’impossibile
dualismo di corpo e mente… la base dell’horror – e della difficoltà della vita
in generale – consiste nel fatto che non possiamo comprendere in che modo si
muore. Come mai una mente sana dovrebbe morire, solo perché il corpo non è
sano? Sembra che in questo ci sia qualcosa di sbagliato. (Dery, 1997 : 262)
La mutazione che
avviene nei suoi personaggi è sintomo di una malattia causata da un contagio (identificabile
con gli Stati Uniti). Il capitalismo raffigurato in Cosmopolis può essere l’esatta spiegazione di ciò che il regista
canadese ha sempre raffigurato nelle sue pellicole: un virus che infetta i suoi
personaggi e che provoca la malattia.
CAPITOLO 2
IL VIRUS IN COSMOPOLIS
“ Il futuro è impaziente, accadrà presto qualcosa,
forse oggi”
Didi
Fancher (in Cosmopolis)
Il giovane e
potentissimo guru della finanza Eric Packer (interpretato da Robert Pattinson)
attraversa molto lentamente la città di New York per un semplice capriccio:
aggiustare il suo taglio di capelli. Gli uomini della sicurezza a sua
disposizione lo avvertono delle minacce incombenti sulla sua persona e del
frenetico caos che regna per le strade della Grande Mela a causa della visita
del Presidente degli Stati Uniti. Malgrado tutto, il testardo Pattinson decide
di ritornare dal suo parrucchiere di fiducia, lo stesso con cui chiacchierava
da piccolino in compagnia di suo padre. Ed è proprio questo il perno
cinematografico dell'opera: il ritorno. Cronenberg torna al suo amato cinema
dominato dalla mutazione, dalla morte, dal virus della società americana,
quello stesso virus che il regista canadese da tanto tempo, inesorabilmente,
tratta come una contaminazione alla quale è impossibile sfuggire. Il
personaggio principale, interpretato da Robert Pattinson, si presenta arrogante
e sicuro di se, proprio come tutti i protagonisti del cinema di Cronenberg, ma
con lo sviluppo della storia, ci si renderà conto della sua fragilità e della
sua instabilità:
In tutta la mia opera ricorre il tema
della mutazione. Che è poi il tema dell’identità, della sua fragilità.
All’inizio di quasi tutti i miei film i personaggi danno l’impressione di aver
fiducia in se stessi, di sapere dove stanno andando. C’è in essi una sorta di
arroganza: credono che il futuro sarà esattamente come essi hanno previsto.
Ognuno di noi, del resto, ha questa forma di arroganza. Ma quando interviene
l’imprevisto, l’idea che noi avevamo della realtà si rivela diversa dalla
realtà stessa, ed ecco il caos, il disastro. Allora il nostro senso della
stabilità vacilla, assieme alla nostra fiducia in essa. Questo processo si
ritrova in ogni mio film. Come in Il pasto nudo, io cerco sempre di mostrare
quel momento unico e bloccato in cui ciascuno vede ciò che c’è sulla punta
della sua forchetta: cioè quel momento in cui ci si rende conto che la realtà
non è che una possibilità, debole e fragile come tutte le altre possibilità. (Canova,
2007 : 8)
Cosmopolis (tratto
dall'omonimo romanzo di Don DeLillo che Cronenberg stesso ha dichiarato come
un’opera scritta per un suo film) va’ però oltre ciò che David Cronenberg ha
tentato di mostrarci sino ad oggi, questa volta ci troviamo davvero in un punto
di non ritorno. Eric è un costrutto della società capitalista americana, vive
nel suo mondo (la limousine), parla la stessa lingua di tutti i personaggi che
incontrerà, ma gli argomenti trattati fluttuano nell'aria e restano scostanti. Nel
film, Robert Pattinson cerca quel ritorno ad uno stato primordiale senza alcuna
contaminazione sociale che però, secondo Cronenberg, non può esserci. Nel caso
di Cosmopolis, un ruolo fondamentale
lo ricopre la cybercultura e lo sfondo di un era ormai ipertecnologica:
La
dichiarazione fatta da Marshall McLuhan nel 1967, secondo cui i media
elettronici ci hanno gettato in un confuso e frenetico “mondo di simultaneità”
in cui le informazioni “si riversano su di noi, in modo istantaneo e continuo”,
e talvolta ci sopraffanno, è oggi più vera di quanto non lo sia mai stata”. La
vertiginosa accelerazione dell’America postbellica è stata prodotta quasi per
intero dal computer, la macchina informativa che ci ha spinto fuori dall’età
del capitalismo della produzione materiale scagliandoci nell’era del
capitalismo postindustriale multinazionale. (Dery, 1997 : 9)
La vertiginosa
accelerazione, ma se vogliamo anche mutazione, subita dall’America è uno dei
punti chiave del film di Cronenberg. Alle vicende del protagonista, fa da
sfondo un’era completamente modernizzata che ipotizza anzi, un futuro
ipertecnologico che rappresenta un
incubo gravante già nel nostro presente. Eric, quindi, percorre la sua via
crucis che lo condurrà verso la morte, una morte che però si manifesta sin dai
primi minuti del film percepibile sotto ogni desiderio impossibile del
protagonista. Sesso, potere, trasgressione, bellezza sono elementi che Eric
possiede, ma ogni qual volta desidera qualcosa, questo suo desiderio risulta
impossibile da soddisfare, come il voler far sesso con sua moglie, possedere la
Rothko Chapel: la felicità è lì davanti, ad un passo da lui, ma non può essere
toccata. Il punto di non ritorno è raffigurato dall'insoddisfazione del
protagonista, quella bellezza che veste i panni del terrore e del disgusto, una
nuova frontiera della trasgressione, raffigurata dall' iper, dal post.
Il male incombe sul mondo odierno, il virus è ovunque, il contagio c'è già
stato: si può decidere di imbottire una limousine di sughero, al suo interno,
quanto si desidera, ma non servirà ad esternare i rumori caotici del mondo in
cui si vive.
L’operazione
compiuta da Cronenberg in questa pellicola è la stessa fatta diversi anni prima
con le sue prime opere. Il virus americano contagia la società canadese, cosi
come il capitalismo ha portato caos e distruzione nel mondo odierno. Il
cambiamento dovuto alla contaminazione può essere manifestato in modalità
diverse nelle pellicole del regista canadese. Nel caso di Cosmopolis, Cronenberg (ma come lui anche lo stesso Don DeLillo)
pone l’accento sull’importanza del denaro e su come questo cambia il mondo. A
tal proposito è possibile constatare una influenza proveniente dagli scritti
del canadese Marshall McLuhan riguardo l’importanza della moneta e su come
questa ha trasformato la società e la comunicazione:
La
folla di persone e le pile di soldi non soltanto tendono all’accrescimento, ma
generano inquietudine sulla possibilità di una disintegrazione e di una
deflazione. Il movimento in due sensi dell’espansione e della deflazione sembra
la causa del nervosismo delle folle e dell’inquietudine che s’accompagna alla
ricchezza. […] Al deprezzamento del marco s’accompagnò parallelamente quello
del cittadino. Si ebbe una perdita di dignità e di valore, nella quale le unità
personali si confusero con quelle monetarie. (McLuhan, trad. 1992)
Nel futuro (che
potrebbe essere rapportato quindi al nostro presente) di Cosmopolis, il topo diventa lo strumento di protesta, inteso come
nuova unità monetaria. Il concetto espresso da Marshall McLuhan è di
fondamentale aiuto per comprendere quanto il denaro abbia plasmato l’individuo
contemporaneo, conducendolo verso la pazzia e il caos totale. David Cronenberg
esalta la mutazione avvenuta a causa del denaro con sequenze che rimandano ad
un pensiero apocalittico (ad esempio la scena in cui la gente si ribella mostrando
un ratto gigante per le vie di New York mentre Eric è dentro la sua Limousine
che intanto viene graffita dai manifestanti). Nella sceneggiatura del film,
compare una frase pronunciata dal protagonista, che potrebbe racchiudere il
significato di quanto analizzato sino ad ora: “la logica evoluzione degli
affari è l’omicidio”. Probabilmente l’omicidio che intende Eric nel film è da
accostarsi al denaro stesso: il capitale conduce alla morte. Per questo motivo
il topo assume un ruolo significativo nel film, in quanto rappresenta una sorta
di formattazione del sistema sociale che possa condurre alla costruzione di una
nuova vita:
Man
mano che il millennio si avvicina, possiamo notare la convergenza tra quella
che Leo Marx ha chiamato “la retorica del sublime tecnologico” – inni al
progresso che si innalzano “come spuma su un’onda di esuberante stima per se
stessi, che ricopre tutti i timori, i problemi e le contraddizioni” – e
l’escatologia che , in un modo o nell’altro, ha strutturato il pensiero
occidentale lungo tutta la sua storia: il secondo avvento giudaico-cristiano,
il mito capitalistico del progresso infinito, la concezione marxista del
necessario trionfo del proletariato sulla borghesia. (Dery, 1997 : 16)
CAPITOLO 3
LA SOLUZIONE
“Distruggere il passato, creare il futuro.”
Elise Shifrin (in
Cosmopolis)
Il cinema può
rimandare ad un pensiero di chirurgia: quel fare a pezzi il corpo come
fossero frammenti di inquadrature
accorpate attraverso il montaggio. Il cinema di David Cronenberg è pieno di
scienziati (pazzi il più delle volte) e soprattutto di medici. Questi
personaggi ci spingono a pensare alla questione della malattia. L’autopsia
privilegia quella forma intellettuale mediata dalla vista. La questione del
corpo e dello squarto è strettamente legata a quella della morte. Nel film Inseparabili vi è l’esaltazione della
bellezza interiore del corpo (inteso come organi) e questa prospettiva ci
conduce verso l’esplorazione della bellezza e del piacere per l’invisibile. Lo
spostamento dell’interesse per l’estatica di Cronenberg è presente in Cosmopolis ed è riscontrabile nella
scelta dello spazio. L’unico spazio significativo nell’opera può ricondursi
all’automobile (una limousine bianca dalla bellezza estetica indiscutibile, ma
ciò che interessa al regista canadese è ciò che c’è al suo interno), il mezzo
con cui avviene la mediazione tra Eric e il mondo che lo circonda. E’ proprio
nella limousine che avvengono tutti gli incontri rilevanti per il protagonista.
Sesso, alimentazione, defecazione, contatti, relazioni, dialoghi e soprattutto
visite mediche, sono tutti elementi che si verificano all’interno dell’auto. Si
tratta quindi di uno spazio che è un non-luogo eppure attraverso il movimento è
ovunque, proprio come le vie informatiche, ormai fondamentali per l’uomo come
la stessa aria che respira. Ancora quindi l’importanza della scienza e dello
sviluppo tecnologico in quest’opera di Cronenberg che fa da sfondo al tema del
denaro e a come sta plasmando il mondo. La mutazione, come in tutti i film
dell’autore canadese, è quindi la causa della malattia che incombe sui
protagonisti delle sue opere. Eric Packer sembra compiere un viaggio negli
inferi, dove ad attenderlo vi è la sua perdita dell’identità, la dissoluzione
della sua stessa natura:
Oggi,
più di quarant’anni dopo le preveggenti osservazioni di McLuhan a proposito
delle “immagini di sesso, tecnologia e morte, che spesso si presentano a
grappoli”, la cybercultura è satura di questi temi interconnessi:
l’esorcizzazione delle macchine, il sesso mediato dalla tecnologia, il sesso
con la tecnologia e il reinstradamento dei desideri carnali in orge di
distruzione high tech. (Dery, 1997 : 207)
Per dissoluzione
della sua natura quindi, si può intendere quella perdita di identità d’origine.
Tale perdita, in Cosmopolis, è dovuta
all’interazione tra sesso e tecnologia che, unendosi, fanno di Eric una sorta
di mutante/mostrum:
Marshall
McLuhan, scrivendo nel 1951, ha definito “una delle caratteristiche più
peculiari del nostro mondo: l’interazione tra sesso e tecnologia”. Questa
bizzarra unione, secondo ;cLuhan nasce da “un’avida curiosità, da un lato, di
esplorare e dall’altro, di possedere la macchina in un modo sessualmente
gratificante”. Il secondo motivo, che McLuhan esplora solo di passaggio, è
stato raccolto dalla cybercultura, che l’ha allargamente incorporato nelle sue
fantasie collettive. (Dery, 1997 : 207)
David Cronenberg
sin dal 1996 con il film Crash, portò
sul grande schermo l’ibridazione tra sesso e tecnologia: quasi esclusivamente
tutti gli atti sessuali si svolgevano all’interno delle automobili e se cosi
non era, l’atto perdeva la sua attrattività. Sotto questo punto di vista
quindi, Crash riprende alla perfezione il “triangolo” trattato da Marshall
McLuhan (sesso, tecnologia e morte) e Cosmopolis
può considerarsi un’opera che riprende gli stessi temi trattati dal regista
canadese in precedenza. La morte quindi è sempre incombente sui protagonisti di
Cronenberg e anche in questo caso, Eric è un costrutto del suo tempo e della
sua cultura. Gran parte dei personaggi cronenberghiani inoltre sono dei veri e
propri narcisisti e le macchine per il sesso possono rappresentare uno specchio
che attraverso il suo riflesso fortificano il senso maschile dell’io:
Il
risultato è un circuito chiuso narcisistico che assomiglia a quello che lo
psichiatra freudiano Jaques Lacan chiamava lo “stadio dello specchio” dello
sviluppo psicologico, la fase della prima infanzia in cui il bambino arriva a
riconoscersi nello specchio e comincia a formarsi un’immagine integrata di sé.
Arriviamo al senso di un ‘io’ scoprendo quest’ ’io’ che ci viene riflesso da
qualche oggetto o persona del mondo esterno”, spiega Terry Eagleton nella sua
discussione di Lacan. “Questo oggetto è in qualche modo parte di noi – noi ci
identifichiamo con lui – eppure non è in noi, è qualcosa di alieno. (Dery,
1997: 218)
L’inizio di Cosmopolis ci apre le porte verso questa
lettura: il capriccio del protagonista del film (vuole aggiustare il suo taglio
di capelli) lo introduce come un personaggio che cura molto il suo aspetto e in
seguito, attraverso i dialoghi, le vicende e i suoi atteggiamenti, scopriamo
quanto narcisismo ci sia in lui. I film di David Cronenberg possono essere
considerati come anelli che compongono una lunga catena di esplorazioni
psicologiche e filosofiche. Egli analizza la metafisica attraverso la fisica e,
sezionando corpo e mente e la relazione che intercorre tra questi, cerca di svelare
la psiche ed esaminarla attraverso uno “specchio”. Questo personaggio, quindi,
vive all’interno della sua auto dove può specchiarsi e ammirare la sua
eccellenza e all’interno di quell’auto avvengono, come descritto in precedenza,
la maggior parte degli incontri. Tra questi vi è anche la figura di un medico,
il quale informa Eric che la sua prostata è asimmetrica. L’interrogativo,
quindi, sulla salvezza del protagonista, o meglio dei protagonisti dei film di
Cronenberg può forse essere legata alle figure dei medici? Esiste allora un
modo per Eric di salvare la sua anima dalla minaccia imminente? Probabilmente,
però, il vero medico del film è proprio il protagonista Eric Packer. Questo è supponibile
durante lo “scontro finale” con Benno Levin (interpretato dall’attore Paul
Giamatti) dove i due personaggi si confrontano con un ‘faccia a faccia’.
Nell’epilogo filmico che potremmo definire a tratti surreale, infatti, si può
notare quanto Benno odia Eric, odia ciò che egli rappresenta ed è deciso
ad ucciderlo ad ogni costo, forse perché questa potrebbe essere l’unica
guarigione alla sua malattia. Il rapporto che intercorre tra i due personaggi
potrebbe essere peccatore/prete,
paziente/medico, e rappresenta l’emblema di tutto il cinema cronenberghiano. “Tu
dovevi salvarmi” confessa Benno ad Eric, ma l’ultima pellicola del regista
canadese non accetta vie di fuga, come dal resto tutta la sua filmografia.
Il film è ricco di dialoghi: parole su parole
che conducono ad altre parole e che convogliano verso un’unica strada
rappresentata dal nulla. Ed è proprio qui che si può scorgere quest’ultima
mutazione messa in scena da Cronenberg: la perdita della presenza reale in un’umanità
disincarnata, raffigurata già dal post, appunto. David Cronenberg
trattò il cyberspazio in Videodrome,
poi ripreso (e forse potenziato) con ExistenZ.
Con il film Cosmopolis, il regista
canadese riprende il tema dell’ibridazione tra uomo e macchina e lo amplifica
approdando al tema dell’iper. Su
questo tema Gualtiero De Marinis prova a descrivere il lavoro compiuto da
Cronenberg e evidenzia l’importanza della sua cultura canadese, la quale lo ha
condotto ad affrontare questa tematica:
Insomma
realizza finalmente che la televisione è tattile. (McLuhan, encore). E che “La tattilità non ha più
il senso organico del toccare: implica semplicemente la contiguità epidermica
dell’occhio e dell’immagine, la fine della distanza estetica dello sguardo”.
(Baudrillard, cette fois). […] Se lo
schermo televisivo è dunque la retina dell’occhio della mente, la cassetta è
naturalmente il suo alimento. Abbiamo esteriorizzato nei media dei pezzi del
nostro corpo e nel far questo siamo entrati a far parte di una grande rete
neurale (è cosi che si chiamano certi sistemi di computer) che è anche’ essa
un’esteriorizzazione del nostro sistema nervoso centrale. […] Sarà che in
Canada è nato McLuhan e lì ha insegnato e spiegato al mondo che ogni medium è
un’estensione del nostro corpo, in particolare, nel caso delle tecnologie
telematiche, un’esteriorizzazione del nostro sistema nervoso. Sarà che in
Canada Gibson ha scritto Neuromancer,
di certo ha sofferto il freddo, probabilmente ha letto McLuhan e quasi
certamente non ha conosciuto Cronenberg. Ma c’è qualcosa che li lega. E’ passato
da molto il tempo in cui il cinema era il gioco più eccitante in città, quindi
anche la sua capacità profetica è in ribasso. La capacità, intendo, di mettere
in chiaro quel che sta succedendo adesso
e di cui nessuno sembra accorgersi. Che è poi ciò di cui parlano
incessantemente McLuhan e Gibson.
(De
Marinis, 1995 : 50,59)
Il cinema di
David Cronenberg sembra quindi accostarsi a ciò di cui parlano McLuhan e
Gibson: trattare l’attualità, il modo in cui la società cambia e le minacce che
si manifestano nel presente, quello che Gualtiero De Marinis etichetta come
“quel che sta succedendo adesso”. Cosmopolis
tratta il presente raffigurando il futuro e le possibili condizioni a cui ci
indurranno le nuove tecnologie e il capitalismo. La guarigione sembra quindi
non esserci affatto, non esisterebbe cura. Forse l’unica via d’uscita proposta
dal regista canadese è proprio la morte (che è poi il finale del film,
apparentemente aperto a chi non ha letto il libro di DeLillo). Proprio la morte viene trattata da John Costello
che prova a spiegare come Cronenberg conduca i suoi personaggi alla liberazione
dal virus, dal contagio:
I
personaggi ancora una volta si rifiutano di obbedire alle “regole”
convenzionali, seguendo il proprio “bianconiglio” in buche che conducono
inesorabilmente alla pazzia e alla morte, che rimane comunque preferibile alla
mediocrità. Dovremmo tutti essere grati a Cronenberg, che ci illustra, con
dettagli grafici, quanto precaria e falsa sia in realtà la condizione umana.
Mostrando ciò che non sarebbe mostrabile, parlando dell’indicibile, ci permette
di confrontarci con i nostri demoni, di dare un volto ai nostri incubi e di
sbirciare nell’abisso, senza andare mai sotto la superficie. (Costello, 2001 :
23)
Riprendendo il
discorso della cura dal virus quindi, l’unica soluzione presente nella
filmografia di David Cronenberg sta dunque nella morte. I suoi personaggi pur
di non vivere nella mediocrità e nell’insoddisfazione approdano alla morte come
se quest’ultima fosse una medicina capace di guarire dalla contaminazione che
c’è stata, dal cancro entrato nella pelle dei personaggi, che non offre via di
scampo. Il metodo col quale il regista canadese affronta questa guarigione sta
nella raffigurazione di ciò che non si vede, che non è tattile. Così come il
cinema frammenta e ricompone i pezzi attraverso il montaggio, Cronenberg in Cosmopolis suggerisce di riadattare
questa tecnica anche alla nostra società, distruggendo il passato e costruendo
un nuovo futuro.
Una delle
malattie che ripercorre nei personaggi principali dei film del regista canadese
è la paranoia. Anche il protagonista Pattinson nel film sembra essere un
paranoico, giunto a questo punto della sua vita probabilmente con una
irrefrenabile voglia di desiderare sempre di più, di trasgredire, di provare
nuove sensazioni, come sparare alla sua guardia del corpo e sembra godere nel
momento in cui il medico gli infila un arto nel sedere. Il personaggio di Eric,
in un certo senso, si accosta al protagonista del film Il pasto nudo Bill Lee e a tal proposito Ottavio Di Brizzi scrive:
Il
mondo svanito, il paesaggio cadaverico che ospita un soggetto megalomane che si
sente unico depositario dell’Ordine delle Cose, è la creazione di una
catastrofe interiore, di una incapacità o impossibilità di rivolgere verso l’esterno la propria libido,
di una implosione caotica che, proietta all’esterno, svuota di senso e di
importanza la realtà. Un’apocalisse interna al soggetto proietta uno scenario
di minaccia che solo il soggetto delirante potrà sciogliere. Il paranoico non
fa altro che ricostruire un mondo abitabile, un universo nuovamente pulsante
(scrive Freud: “Egli lo costruisce [il mondo] col lavorio delle idee deliranti.
La formazione di idee deliranti, che noi consideriamo un prodotto patologico,
in realtà è uno sforzo verso la guarigione, un processo di ricostruzione”). (Di
Brizzi, 1995 : 113)
Da ciò che
abbiamo modo di leggere in quest’ultima osservazione di Di Brizzi, possiamo
esaminare il personaggio di Eric e collegarlo alla tematica della paranoia.
Cosi come Crash, anche Cosmopolis è un film post-politico e
post-erotico. Il protagonista fatica ( e deve impegnarsi) a trovare il brivido
dell’eros. Inoltre, il soggetto crede
che ogni avvenimento sia in qualche modo relazionato a lui, hai il sospetto di
essere l’unico umano ancora non colonizzato ed è convinto di essere l’unico in
grado di conoscere il giusto ordine delle cose. Eric Packer è un ragazzino,
ricco e potente; chiede consigli su come investire i suoi soldi ma non dà molta
importanza a questi. Vive nel suo mondo all’interno della sua limousine mentre
fuori la gente di ribella alla società circostante. L’unico momento in cui il
protagonista sembra commuoversi davvero è durante la morte di un cantante
rapper, ma per tutto il resto del film il personaggio interpretato da Pattinson
sembra privo di emozioni e sentimenti. Seguendo ciò che scrive Freud quindi,
questa personalità può essere sintomo di uno sforzo verso una guarigione e
probabilmente un processo che conduce ad una ricostruzione. Ma il protagonista
del romanzo, anche se nel film di Cronenberg ci troviamo davanti ad un finale
aperto, inevitabilmente morirà. Quindi forse è proprio questa l’unica via
d’uscita prevista da Cronenberg: non di tratta di una resa nei confronti di un qualcosa di inevitabile e
di incontrastabile, proprio come la morte, piuttosto i suoi personaggi sono
contraddistinti da un senso di non accettazione, quasi di ribellione:
Nei miei
film io mi batto contro i dati biologici dell’esistenza umana. Esprimo il
desiderio di cambiarli. Pochissime persone esiterebbero a sopprimere la
vecchiaia e la morte, anche se le conseguenze potrebbero essere disastrose. E’
quello che fanno i miei personaggi: hanno una reazione normale, non accettano!
Noi siamo nati per non accettare, contrariamente a tutte le altre culture del
pianeta. ( Cronenberg, 1992 )
Continua quindi
a farsi sentire a gran voce la sua cultura, le sue origini e la sua formazione,
ancora la cultura canadese a giocare un
ruolo fondamentale e caratterizzare i suoi personaggi sulla non accettazione,
cosi come avviene nel film Crash, dove i protagonisti vogliono riappropriarsi
della vita scegliendo come e quando farla finire. Se quindi la minaccia è la
morte (che più volte si è sottolineato come possa accostarsi al discorso del
virus, della malattia, del contagio, anche paragonandolo all’AIDS) i
protagonisti ne usciranno comunque vincitori e saranno loro a decidere come e
quando morire nonostante la minaccia che incombe su di loro. La “guarigione”, o
meglio la comprensione, è allora
possibile. Possiamo, quindi, interpretare questa come una chiave di lettura che
ci conduce ad una sorta di “lieto fine”. Tutto ciò risulta possibile seguendo
ciò che Cronenberg ci mostra, scegliendo un diverso punto dal quale leggere l’opera
filmica: il punto di vista è quello della malattia che si innesca nel
protagonisti dei suoi film. Cosmopolis
non vuole essere un film di critica, piuttosto è una rappresentazione di ciò
che può avvenire in un imminente futuro e il regista canadese ci chiede di
entrare nella limousine del film per osservare ciò che viene narrato, proprio
accanto a lui e ad Eric Paker. Il protagonista incarna un guru delle finanze
che perde tutto per un calcolo sbagliato, mentre la morte veste i panni del
personaggio di Paul Giamatti, Benno Levin.
CONCLUSIONI
Guardia del corpo: “Il presidente è in città”
Eric: “Non ci riguarda, voglio aggiustare il
taglio…attraversiamo la città!”
(Dialogo tra Eric Packer e la sua guardia del corpo in
Cosmopolis)
Come si è avuto
modo di analizzare quindi, il cinema di David Cronenberg risente delle forti
influenze che la sua cultura gli ha trasmesso. Il Canada è presente in tutte le
sue pellicole e non solo visivamente parlando (fino ai primi anni novanta tutti
i suoi film furono girati in Canada e anche gli attori da lui scelti erano
canadesi), ma anche sotto un aspetto meno esplicito. Tutto il cinema del
regista canadese si basa sul dare una forma visibile alle grandi configurazioni
terrifiche dell’inconscio, quindi, di conseguenza, le tematiche da lui trattate
sono frutto dei suoi riscontri, delle sue esperienze e talvolta anche delle sue
paure. La resistenza al virus, cosi come la resistenza della popolazione
canadese nei confronti dell’America è riscontrabile anche in Cosmopolis in maniera più che evidente. All’inizio
del film Packer decide di voler aggiustare il taglio di capelli nonostante il
presidente degli Stati Uniti si aggiri per le città di New York, a
dimostrazione del fatto che il protagonista del film di Cronenberg non si lascia
intimidire dalla minaccia (in questo caso metaforizzata dal traffico). Ma
questa non è l’unica traccia di cultura canadese che possiamo riscontrare
nell’ultima pellicola di Cronenberg. Anche la stessa identità del protagonista,
accostandosi a quella dei precedenti personaggi cronenberghiani, risulta
narcisista, sicura di sè, eppure nel suo inconscio è decisamente una persona
fragile che è ossessionata dal tempo e che sin dai primi minuti del film
esprime un desiderio, quello di voler tornare dal suo parrucchiere di fiducia,
lo stesso che gli tagliava i capelli quando da bambino si recava lì con suo
padre. La ricerca del passato, delle sue radici e della sua identità è proprio
il perno centrale di tutto il film. Eric Packer risente di questa sua lacuna, cosi
come ne risente il Canada e di conseguenza lo stesso Cronenberg, il quale
tratta questa ossessione nella sua intera filmografia e in maniera più
esplicita proprio con Cosmopolis. Anche
attraverso la sceneggiatura è possibile leggere quanto questo sia trattato.
“Tutto nelle nostre vite ci ha portato a questo momento” dice Benno Levin ad
Eric, di conseguenza l’unico spiraglio di luce che c’è nel film viene
pronunciato dalla bella ma impossibile Elise
Shifrin (interpretata da Sarah Godon, anche lei canadese): “distruggere il
passato, creare il futuro!”.
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