La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale.

Louis Lumière

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Uno spazio su cui leggere le recensioni di nuove e vecchie pellicole uscite in sala.
Blog a cura di Mimmo Fuggetti

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domenica 16 dicembre 2012

MOONRISE KINGDOM



Commedia / Drammatico
di Wes Anderson.
con Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Jared Gilman, Kara Hayward, Frances McDormand, Harvey Keitel, Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Bob Balaban.
USA - 2012 
Durata: 94 minuti.

Estate 1965. A New Penzance, un'isola al largo delle coste del New England, due piccoli amanti vivono una fuga d'amore: Sam e Suzy (gli esordienti Jared Gilman e Kara Hayward). Questo avvenimento allarmerà tutta l'isola, a cominciare dai genitori di lei, i coniugi Bishop (Bill Murray e Frances McDormand), fino al capo scout Ward (Edward Norton) e al comandante Sharp (Bruce Willis).
Ancora una volta l'autore texano ci regala una favola sul rapporto adulti/bambini. Sin dai tempi di Rushmore infatti, Wes Anderson ha espressamente ribaltato i ruoli, raffigurando adulti bloccati nell'età infantile e ragazzini che amano giocare a fare gli adulti. Moonrise Kingdom è l'ennesima prova riuscita da parte del regista in questione, il quale ritorna a girare film con attori in carne e ossa dopo la piccola parentesi di Fantastic Mr. Fox
Non mancano i suoi punti fermi. Il cast è ormai confezionato da un pezzo, Bill Murray e Jason Schwartzman sono divenuti ormai insostituibili. Le musiche rockeggianti che rimandano agli anni Sessanta fanno da sottofondo anche per quest'ultima pellicola, accompagnando carrellate mozzafiato, riprese di dettagli che curano la descrizione di tutti i personaggi, scambi di battute spiazzante dai toni ironici che spezzano il risvolto drammatico velato dalla straordinaria abilità di un autore che non sfocia mai nel banale e nello scontato, provocando nello spettatore un'alto grado di concentrazione causato dall'imprevedibilità che dura dal primo all'ultimo minuto del film. I personaggi di Wes Anderson sono delle anime in pena spesso a caccia di affetto. Essi vengono caratterizzati dalle ferite che portano, il più delle volte riscontrabili sul loro corpo: il volto di Owen Wilson in Un treno per Darjeeling, la mano fasciata di Susy in quest'ultima opera. Moonrise Kingdom, sotto questo punto di vista è il film nel quale il regista texano ha osato spingersi di più, raffigurando  il sangue di un ragazzino colpito da un paio di forbici o quello di Susy che si fa bucare i lobi con un amo da pesca da Sam. Il contrasto è forse l'elemento che lascia l'impronta nei film di Wes Anderson: la crudeltà manifestata solo attraverso momenti di tenerezza, l'atmosfera fiabesca che fa da sfondo alla triste verità rappresentata (vedi il "non rapporto" con i genitori del piccolo Sam), i toni comici che rimandano al risvolto drammatico (a volte non servono neanche battute, ma basta posare la macchina da presa sul volto dei suoi protagonisti, com'è il caso di Bill Murray, per suscitare la risata).
In conclusione, Moonrise Kingdom può esser visto come una vera e propria "fuga d'amore" per tutti gli amanti del cinema. Un film che commuove e diverte attraverso la "magia del reale" (ri)creata da uno degli autori più apprezzati degli ultimi decenni. 

mercoledì 5 dicembre 2012

LAWLESS

di John Hillcoat
con Tom Hardy, Shia LeBeouf, Jason Clarke, Guy Pearce, Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Gary Oldman, Dane DeHaan, Chris McGarry, Lew Temple.
USA, 2012 - durata: 115 minuti.

1931. Franklin, Virginia. Il proibizionismo americano riportato ancora una volta sul grande schermo, ma non sembra preoccuparsene John Hillcoat (regista australiano che tre anni fa ci ha regalato The Road, adattamento dal romanzo di Cormac McCarthy). Anche questa volta si tratta di un adattamento, il romanzo è La contea più fracida del mondo di Matt Bondurant. Il film è tratto anche da una storia vera, quella dei fratelli Bondurant: Howard, Forrest e Jack, coinvolti nel commercio clandestino di alcolici durante gli anni della grande depressione americana. Ben caratterizzati i personaggi, Hillcoat ci mostra le differenze tra i tre fratelli e soprattutto il contrasto che si forma tra Forrest (Tom Hardy, che ormai non fa più notizia dopo le ottime interpretazioni degli ultimi anni) e Jack (Shia LeBeouf), con quest'ultimo che preferisce la vita del G-man alla pazienza e alla saggezza del fratello. Il più giovane dei fratelli inoltre, si innamora della dolce Maggie (Jessica Chastain), figlia di un pastore che le vieta di frequentare il ragazzo conoscendo le leggende che girano sui tre fratelli. Il film incalza i ritmi quando in contea arriva lo spietato e improfumato Charlie Rakes (Guy Pearce), il nuovo vice sceriffo che stravolgerà ogni "equilibrio" a Franklin. I tre fratelli infatti, sembrano essere gli unici a non accettare le nuove regole imposte dallo straniero arrivato da loro e per questo motivo saranno coinvolti in una serie di eventi dalle pistole e coltelli facili. 
L'opera di Hillcoat è indubbiamente ben confezionata: cast straordinario (degna di nota è la presenta di Gary Oldman), musiche curate da Nick Cave, mix di generi che vanno dal western, al gangster movie fino ad arrivare allo sfrenato humor che ricorda quello della Screwball Commedy, dove non mancato sprazzi di Slapstick (vedi la caduta di Forrest nel finale). 
Elementi che fanno dunque di Lawless un film ben costruito e sicuramente dall'alto gradimento (impossibile uscire dalla sala con qualche commento negativo sull'opera), tuttavia ciò che manca è proprio quel pizzico di genialità e di coinvolgimento che aveva contraddistinto The Road dai tanti film apocalittici usciti negli ultimi anni. Anche il proibizionismo è dunque un argomento trattato innumerevoli volte, ma questa volta Hillcoat fa divertire, ma non ci ha emozionato, come Mia Wasikowska suggerisce durante il film: "Non vorrai passare il resto della tua vita a guardarmi?".

mercoledì 28 novembre 2012

IL SOSPETTO

di Thomas Vinterberg.
Con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Annika Wedderkopp, Lasse Fogelstrøm, Susse Wold, Anne Louise Hassing, Lars Ranthe, Alexandra Rapaport, Ole Dupont.
Durata: 115 minuti - Danimarca

Non è facile per noi spettatori tenere a bada la tensione quando si parla di un film di Vinterberg. Il regista danese sembra discostarsi dalle sue precedenti opere per approdare ad un cinema che ricorda quello del canadese Cronenberg. C'è un virus letale che si aggira per le strade di una piccola cittadina danese e la prima vittima sembra essere Lucas (uno straordinario Mads Mikkelsen, premiato come miglior attore protagonista al 65° festival di Cannes). 
Lucas è un uomo sulla quarantina, divorziato, e la sua ex moglie non vuole fargli vedere suo figlio, l'adolescente Marcus. Lavora in un asilo nido locale e ha da poco iniziato una relazione con una sua collega, ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, iniziano i problemi. Una bambina, Klara, figlia dei suoi più cari amici, insinua qualcosa di orribile nei confronti di Lucas e la direttrice dell'asilo nido comincia a sospettare del protagonista. Le accuse di pedofilia nei confronti di Lucas si diffondono e il virus entra in circolazione, contagiando tutta la città. La vita di Lucas diventa un vero e proprio inferno. L'uomo non ha più relazioni sociali, viene cacciato via dai supermercati, picchiato a sangue da quelli che un tempo si definivano suoi grandi amici. 
Arrivato 14 anni dopo Festen, Il sospetto si presenta come un opera scritta e diretta con una precisione quasi chirurgica. La grandezza dell'opera sta nel fatto che non sfocia mai nel banale, neanche quando la bambina comincia a mentire su Lucas. L'assunto è quello che tutti conoscono "i bambini non mentono mai", ma Vinteberg ci mostra l'antefatto per evitare ogni dubbio sul protagonista: Lucas è innocente, lo sa lui e lo sappiamo noi. Il regista danese compie una sorta di miracolo cinematografico, chiedendo aiuto al suo pubblico per il protagonista, ingiustamente accusato e tagliato fuori da tutte le attività sociali, restando sempre più isolato e a convivere con il suo dolore. La calunnia si è fatta cancro, Lucas è un mostro. Un pedofilo.
Vinterberg ci prende per mano e decide di mostrarci uno spaccato di attualità struggente. La macchina da presa non è distante dallo sguardo del protagonista, i suoi occhi possono essere i nostri e viceversa. Ciò che appare sul grande schermo è una verità conseguenziale ad una bugia, un contrasto emblematico nella storia del cinema che questa volta da vita ad un vero e proprio capolavoro. Semplicemente strepitoso!

giovedì 15 novembre 2012

REALITY

Di Matteo Garrone
Con Aniello Arena, Claudia Gerini, Arturo Gambardella, Nunzia Sciano, Ciro Petrone, Loredana Simioli.
Italia 2012 - 01 Distribution - Durata 110 minuti.

Durante tutto l'arco della storia del cinema, in tanti si sono cimentati nell'esperimento di trattare "il cinema attraverso il cinema". A questo proposito risulta interessante l'opera ultima di Matteo Garrone: Reality è un film che parla di cinema, ma soprattutto Reality è cinema. L'ibridazione tra finzione e realtà viene manifestata in maniera impeccabile, servendosi di storie di ordinaria quotidianità, mescolate alla finzione quasi fiabesca come quella dell'inizio del film. 
Luciano, un pescivendolo padre di famiglia, rimane intrappolato dalla troppa televisione (sindrome da Grande Fratello), cosi tanto da non riuscire più a distinguere il vero dal falso. L'ossessione di quegli occhi puntati addosso lo manda fuori di senno, facendolo immergere in un mondo fatto di sogni e di false speranze. Il protagonista decide di fare il provino per entrare nella casa del GF, forse spinto dal successo ottenuto da un suo concittadino sicuramente più fortunato di lui. La sua sicurezza e spavalderia fanno si che Luciano si convinca di aver superato in maniera egregia il provino e la troppa convinzione lo porterà a provocare disgraziati eventi che influiranno sulla sua famiglia. 
Matteo Garrone conferma le sue doti tecniche e stilistiche con un altro capolavoro che si allinea a Gomorra se si parla di realtà accostata all'assurdità, quale potrebbe essere l'opera tratta dal libro di Saviano per uno straniero che ad esempio non conosce la situazione in Italia. Nel caso di Reality, l'ignoranza e la pazzia della gente per i reality, ma più in generale per il successo, provocano nello spettatore una sorta di straniamento, forse troppo accelerato per potersi immedesimare, eppure questi casi si nascondono dietro ogni angolo. E' sbagliato, forse, considerare, questo film come una denuncia sociale. Questa volta Garrone costituisce un'altro dei suoi universi chiusi, dalla quale è impossibile (sia per il protagonista che per lo spettatore) venirne fuori. La maschera e il volto del protagonista si ibridano in maniera omogenea non riuscendo più a distinguere l'una dall'altra. Sin dall'inizio del film con una sorta di "effetto notte" il regista partenopeo ci lancia un messaggio d'avviso: il suo cinema non è reale, ma è sulla realtà intesa in senso spaziale. La macchina da presa si muove dall'alto mostrandoci, attraverso pianisequenza efficaci, tutti i "fuoriscena". Nel cinema di Garrone non è concesso posarsi su qualcosa, qualcuno, un volto o una battuta, mentre ciò che conta resta dall'altra parte, dalla sua posizione, il fuoricampo o "fuori dalla casa".  I suoi occhi non calano dall'alto come rapaci, piuttosto di infettano con ciò che vedono, un po' come accade per il protagonista del film. Luciano e gli altri personaggi con i loro dialoghi sembrano riportarci alla mente gli spettacoli di Edoardo. Ancora teatro quindi, finzione e realtà su un palcoscenico. La realtà c'è e si manifesta sotto forma di spettacolo, sembra assurdo eppure è ciò che stiamo vivendo/vedendo ed è ciò che ci mostra Garrone. 

mercoledì 17 ottobre 2012

ON THE ROAD

Un film di Walter Salles.
Con Kristen Stewart, Garrett Hedlund, Kirsten Dunst, Sam Riley, Viggo Mortensen.

Drammatico - USA 2012.

Walter Salles non è decisamente sulla strada giusta. Questa è la prima riflessione che si può fare dopo aver visto On the Road. Il film tratto dal romanzo di Jack Kerouac non viaggia: statico, scontato, sempliciotto e ripetitivo. L'opera del regista di Central do Brasil e I diari della motocicletta non conduce in nessun luogo, annullando la cosiddetta cartolina americana alla Easy Rider e i canoni del classico road-movie che tanto si è contraddistinto nella New Hollywood. Proprio Francis Ford Coppola, uno dei pionieri di quella generazione di cineasti, è il produttore esecutivo del film (i diritti del romanzo li acquistò nel 1979 e non riuscì mai a farne un adattamento) non potendo avere Gus Van Sant, da lui cercato per girare la pellicola, si affida a Salles dando vita ad una delle pellicole più imbarazzanti della storia del cinema. Sicuramente riportare sul grande schermo tutta l’esperienza on the road del viaggio di Sal e Dean alla ricerca di se stessi e dell'America (accompagnati dalla sedicente libertina Marylou) non era compito facile. Tuttavia, un risultato così piatto era difficile da pronosticare: il film sembra un mix di pellicole già viste (da Bertolucci a Hopper). Se i diari della motocicletta di Salles erano riusciti a convincere il pubblico e la critica, questa volta un'altro diario risulta decisamente meno convincente. La storia non decolla, difficile immedesimarsi nei personaggi nonostante possano essere identificabili come dei dreamers
Sogni infranti, quindi, per chi si aspettava di vedere sul grande schermo il loro libro preferito o comunque un capolavoro che ha trasmesso tanto ai lettori di tutto il mondo. "Bisogna annullare il costo della vita" continuano a ripetere i protagonisti del film, peccato che l'unica cosa che On the road sia riuscito ad annullare è proprio la bellezza del romanzo. 
Anche la recitazione è apparsa deludente, annullando star dal calibro di Kirsten Dunst, Viggo Mortensen e Steve Buscemi.  La giovane e seducente Kristen Stewart prova ad allontanarsi dalla monotonia quotidiana, ma l'unico risultato che ottiene è un replicarsi di scene identiche che appaiono più monotone e noiose della stessa vita di tutti i giorni. Tanto sesso e tanta droga, poco Kerouac e On the Road.

giovedì 11 ottobre 2012

UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA

Un film di Jacques Audiard
Con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts, Armand Verdure, Céline Sallette, Corinne Masiero.
Titolo originale De rouille et d'os.
Drammatico, durata 120 min. - Belgio, Francia 2012.

Passato in concorso a Cannes e clamorosamente rimasto fuori dai titoli vincitori del festival, Un sapore di ruggine e ossa, liberamente ispirato alla raccolta di racconti brevi di Craig Davidson, è un sorprendente melodramma ricco di brutalità, rabbia, disincanto e tenerezza capace di farci ascoltare, in sala, "tutti i battiti del nostro cuore".
Le figure del cinema di Jacques Audiard sono condannate alla staticità, pur essendo in continuo movimento e in cerca di cambiamenti. Lui è Ali (Matthias Schoenaerts), un ragazzo padre che dimostra tutte le sue mancanze paterne nei confronti di suo figlio (di 5 anni) Sam. I due si trasferiscono dalla sorella di Ali, la quale aiuterà il protagonista a trovare lavoro come buttafuori. Lei, Stephanie (Marion Cotillard), è istruttrice di orche, una ragazza di bell'aspetto che adora avere gli occhi degli uomini puntati su di lei. I due si conoscono una sera in discoteca, dopo una rissa che vedrà coinvolta la ragazza, la quale sarà accompagnata a casa proprio da Ali. Qualche giorno dopo, Stephanie subirà un incidente durante uno spettacolo con le orche e sarà costretta a portare delle protesi alle gambe per poter camminare. Dopo questo tragico evento i due si ritroveranno, rappresentando per entrambi uno spiraglio di luce in una buia e triste vita.
Passionale e struggente, sporco e doloroso, carnale e metallico, l'ultimo film del regista francese si accosta alle sue precedenti opere: la prigione de Il profeta, cosi come la discoteca di Sulle mie labbra, sono luoghi di prigionia per le figure del suo cinema. Il sapore del sangue nella bocca causato dai pugni incassati da Ali, quando le labbra si spaccano nell'urto con i denti. Sono questi dei colpi che l'ex pugile e kickboxer Ali continua a dare e a ricevere dalla vita, come quelli che subisce Stephanie risvegliandosi in un letto d'ospedale e vedendosi costretta ad ascoltare nel vento il suo passato e le note della stessa canzone che le faceva da sottofondo durante i suoi spettacoli con le orche, o ancora ritrovandosi solo dietro un vetro che la separa dalle orche, dalla sua vita passata che mai più ritornerà. Proprio il ritorno è quello che cercano i protagonisti del film; impossibile bloccare il tempo, riappropiarsene. Essi sono consapevoli del fatto che un granello di felicità andrà via con la prossima soffiata di vento, sempre pronto ad arrivare. Mai banale, mai scontato, neanche un minuto può essere considerato prevedibile, perché ciò che la macchina da presa ci mostra è proprio lo scontro, la collisione tra desiderio e realtà, tra i pugni e le carezze. Come la protagonista di Sulle mie labbra, anche Stephanie porta delle protesi e cosi come Cassel aveva bisogno di Emanuelle Devos, anche Ali si aggrappa a Stephanie, come se quelle protesi di cui sentono disperatamente il bisogno, in realtà sono proprio loro. Jacques Audiard con quest'ultimo film si conferma uno dei più grandi registi contemporanei, utilizzando la macchina da presa per mostrarci una sorta di esplosione pronta ad avvenire da un momento all'altro, causata da una frase, un gesto, un dettaglio. In questo senso l'autore, come l'orca, causa l'incidente. Un sapore di ruggine e ossa sembra di vederlo immersi sott'acqua, fino all'ultimo respiro, al di là della vita e una volta tornati su sarà possibile rivedere la luce, ritrovarsi davanti ad una seconda possibilità, proprio come quella di Ali con suo figlio.

mercoledì 19 settembre 2012

Monsieur Lazhar

di Philippe Falardeau. 
Con Fellag, Sophie Nélisse, Danielle Proulx, Jules Philip, Émilien Néron.
 
Drammatico, durata 94 min.- Canada 2011.

A Montréal, in una scuola elemetare, una insegnante si impicca nell'aula dove teneva sino al giorno precedente le sue lezioni. Questo lutto diventa un trauma per i bambini della scuola, i quali, secondo la preside, avranno bisogno di una psicologa, una volta alla settimana, che cercherà di aiutarli senza però alcun esito positivo. Il personaggio chiave per sbloccare questo trauma, sarà proprio mounsieur  Lazhar, un immigrato algerino dall'oscuro passato. Sarà lui a sostituire la precedente insegnante e con diverse difficoltà, tenterà di entrare nel cuore dei suoi alunni e forse attraverso il loro aiuto, cercherà di risolvere anche i suoi problemi e di superare le sue paure.
La pellicola di Philippe Falardeau, dopo aver riscontrato un discreto successo da un festival all'altro, arriva nelle sale italiane e incanta con scene di maestria registica e narrativa. Dopo aver visto La classe, film francese del 2008 interamente girato in una scuola, ci ritroviamo davanti ad un opera che riprende lo stesso filone. Tanti sono gli elementi che ricordano la pellicola francese, anche il fatto che nonostante sia un film di produzione canadese, comunque ci troviamo a Montréal. Il cinema canadese è sempre stato a caccia di una sua vera identità. Questa mancanza di una propria storia, di un proprio passato nazionale che riguarda la sua identità, è presente anche in Monsieur Lazhar. Il protagonista del film incarna il Canada, le sue paure, le sue relazioni, i suoi traumi e le sue mescolanze. Cosi come altri cineasti canadesi, su tutti David Cronenberg, Philippe Falardeau racconta la sua fiaba canadese attraverso il personaggio di  Lazhar. Come una farfalla che lascia la sua crisalide, il film evidenzia il distacco da un passato e dalle paure che ombreggiano nelle vite di ognuno di noi. I bambini della scuola elementare di Montréal sono afflitti da un dolore che fatica ad essere esternato, ma che piuttosto rimane dentro di loro e che difficilmente andrà via. La grandezza di questo film probabilmente sta proprio in questo: i bambini affrontano il dolore proprio come l'adulto Lazhar. Entrambi affrontano i loro sensi di colpa nello stesso modo, nella propria intimità. Il protagonista del film di Falardeau attraverso l'aiuto dei suoi alunni condurrà un viaggio alla ricerca di una rinascita, proprio come quella che sta avvenendo al suo paese.

martedì 5 giugno 2012

MARILYN

Un film di Simon Curtis.
Con Michelle Williams, Eddie Redmayne, Julia Ormond, Kenneth Branagh, Pip Torrens.
Biografico. Durata 99 min. - Gran Bretagna, USA - 2011.



Cosa succederebbe se il cinema incontrasse il cinema? Una domanda emblematica alla quale possiamo rispondere con una pellicola uscita in sala quest'anno: Marilyn.
Marilyn Monroe è il cinema, eppure attraverso la pellicola targata Simon Curtis è possibile mettere luce alla questione attoriale della diva.
Marilyn, da poco sposata con il suo terzo marito Arthur Miller, nell'estate del 1956 arriva in Inghilterra per girare Il principe e la ballerina in compagnia di Laurence Olivier, dove ha modo di conoscere il terzo assistente alla regia, un certo Colin Clark. Quest'ultimo, autore del libro dal quale è ispirata l'opera cinematografica in questione, a soli 23 anni, appena laureato, riesce a ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo del cinema grazie alla sua caparbietà. Il sogno per lui comincia da qui, incontrando Marilyn, con la quale vive una travolgente storia "d'amore".
Il film di Curtis mette in rilievo il personaggio della Monroe (interpretato da una straordinaria Michelle Williams che riesce a vestire i panni della diva senza sembrare la sua parodia), attraverso gli occhi del vero protagonista Clark, smascherando la sua debolezza e fragilità nel sentirsi poco talentuosa sul grande schermo. Marilyn è sempre stata sotto i riflettori, garante del successo di ogni pellicola a cui partecipava, ma nonostante ciò le sue doti attoriali lasciavano a desiderare. Il film mostra come la Monroe soffrisse di questa sua lacuna, come la diva viveva la sua vita privata e di come si plasmasse quando aveva gli obiettivi puntati addosso.
Cercando di dare una risposta alla domanda di partenza, il cinema quindi incontra la bellissima Marilyn Monroe, posando l'accento sulla bellezza estetica del personaggio in contrasto con la sua cadenza attoriale. Ma non è ciò che vediamo nel film Il principe e la ballerina?
Laurence Olivier sa benissimo che il suo film attirerà la gente per la sua protagonista, ma è consapevole anche del fatto che la riuscita del film non è ciò che si aspettava in partenza. Il cinema è sempre stato multiforme: quell'alternare qualità ad intrattenimento, la poesia alla risata, l'arte al trash. Marilyn è tutto questo, un mix di arte ed intrattenimento. Curtis fa resuscitare il personaggio della Monroe, grazie ad una Michelle Williams straordinaria, perché sa che lo spettatore si recherà in sala, proprio come accadeva ai tempi de Il principe e la ballerina, conoscendo il pericolo al quale va incontro: una storia poco avvincente, una biografia fragile quanto Marilyn che però resta la perfetta incarnazione del cinema stesso: quell'ambiguità tra realtà e finzione.

venerdì 1 giugno 2012

COSMOPOLIS

Un film di David Cronenberg.
Con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel.
Drammatico, durata 105 min. - Canada, Francia 2012.



Sono passati ben 37 anni da quando David Cronenberg diede luce ad un' opera intitolata Il demone sotto la pelle. Oggi quello stesso demone non si accontenta più di restare rinchiuso, il topo che striscia nelle fogne è finalmente venuto fuori e prepotentemente acquista valore. Il giovane e potentissimo guru della finanza Eric Packer (interpretato da Robert Pattinson) attraversa molto lentamente la città di New York per un semplice capriccio: aggiustare il suo taglio di capelli. Gli uomini della sicurezza a sua disposizione lo avvertono delle minacce incombenti sulla sua persona e del frenetico caos che regna per le strade di NY a causa della visita del Presidente degli Stati Uniti. Malgrado tutto, il testardo Pattinson decide di ri-tornare dal suo parrucchiere di fiducia, lo stesso con cui chiacchierava da piccolino in compagnia di suo padre. Ed è proprio questo il perno cinematografico dell'opera: il ritorno. Cronenberg torna al suo amato cinema dominato dalla mutazione, dalla morte, dal virus della società americana, quello stesso virus che il regista canadese da tanto tempo, inesorabilmente, tratta come una contaminazione alla quale è impossibile sfuggire. Cosmopolis (tratto dall'omonimo romanzo di DeLillo) và però oltre ciò che Cronenberg ha tentato di mostrarci sino ad oggi, questa volta ci troviamo davvero in un punto di non ritorno. Eric è un costrutto della società capitalista americana, vive nel suo mondo (la limousine), parla la stessa lingua di tutti i personaggi che incontrerà, ma gli argomenti trattati fluttuano nell'aria e restano scostanti. Come Ulisse cerca la sua Itaca, Pattinson cerca quel ritorno ad uno stato primordiale senza alcuna contaminazione sociale che però, secondo Cronenberg, non può esserci. Eric percorre la sua via crucis che lo condurrà verso la morte, una morte che però si manifesta sin dai primi minuti del film percepibile sotto ogni desiderio impossibile del protagonista. Sesso, potere, trasgressione, bellezza sono elementi che Eric possiede, ma ogni qual volta desidera qualcosa, questo suo desiderio risulta impossibile, come il voler far sesso con sua moglie, possedere la Rothko Chapel: la felicità è lì davanti, ad un passo da lui, ma non può essere toccata. Il punto di non ritorno è raffigurato dall'insoddisfazione del protagonista, quella bellezza che veste i panni del terrore e del disgusto, una nuova frontiera della trasgressione, raffigurata dall'iper, dal post. Se, però, facciamo un passo indietro, come i migliori film western insegnano, ciò che conta non è la meta, ma il viaggio ed è attraverso questo che Eric prende conoscenza del suo essere. Il male incombe sul mondo odierno, il virus è ovunque, il contagio c'è già stato: puoi imbottire la tua limousine di sughero quanto vuoi, ma non servirà ad esternare i rumori caotici del mondo in cui vivi. Il pellegrinare di Eric si conclude in una sorta di confronto finale, con Benno (un Paul Giamatti che dà libero sfogo a tutto il suo talento attoriale), che ci regala un po’ di humour ad un epilogo decisamente drammatico. Benno odia Eric, odia ciò che egli rappresenta ed è deciso ad ucciderlo ad ogni costo, forse perché questa potrebbe essere l'unica guarigione alla sua malattia. Il rapporto peccatore/prete, paziente/medico, che intercorre nella scena finale del film è l'emblema di tutto il cinema cronenberghiano. "Tu dovevi salvarmi" confessa Benno ad Eric, ma l'ultima pellicola del regista canadese non accetta vie di fuga. Parole su parole che portano ad altre parole e che conducono verso un'unica strada rappresentata dal nulla. Ed è proprio qui che si può scorgere quest'ultima mutazione messa in scena da Cronenberg: la perdita della presenza reale in un'umanità disincarnata, raffigurata già dal post, appunto.
All'interno di una limousine che veste i panni di una sala di regia, dentro la quale è possibile rivedere tutto (con un'ottica decisamente diversa,"asimmetrica" come la prostata del protagonista), controllare tutto ciò che avviene là fuori, Cronenberg prende posto accanto al suo Pattinson per mostrarci il tema del denaro e di come plasma il mondo (come il regista stesso sostiene) e da quella stessa sala sembra che ci stia urlando: Destroy the past, make the future!

sabato 19 maggio 2012

MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO

Un film di Stephen Daldry. Con Tom Hanks, Sandra Bullock, Thomas Horn, Max von Sydow, Viola Davis. Drammatico, durata 129 min. - USA 2012. - Warner Bros
Ci troviamo ancora davanti ad una narrazione inerente alla grande tragedia (l'11 settembre), eppure questa volta Stephen Daldry decide di entrare nell'intimità della gente che è stata colpita dalla catastrofe. Fuori concorso alla 62ma Berlinale, il film di Daldry (trattamento del romanzo di Jonathan Safran Foer) colpisce dritto al cuore dello spettatore e la chiave della riuscita del film si chiama Oskar (Thomas Horn), un bambino di 9 anni protagonista dell'opera. Thomas (Tom Hanks) padre di Oskar è una vittima dell'attentato alle torri gemelle e la sua scomparsa causerà un vuoto incolmabile nel protagonista del film, il quale rimarrà pieno di sensi di colpa per l'accaduto. Questo cambio status di Oskar ci condurrà verso una grande avventura in perfetto stile Forrest Gump (il viaggio intrapreso dal protagonista e i personaggi che incontrerà lungo la sua corsa verso lo svelamento della verità sembra far riecheggiare le stesse vicende già viste col personaggio di Forrest, non è un caso che Tom Hanks sia anche in questo film). Partendo dal ritrovamento di un biglietto lasciato dal padre con una chiave e con scritto "Black", il giovane Thomas Horn partirà alla ricerca del significato di quella chiave: servirà incontrare tutti e 472 i Black di New York? quale porta aprirà quella chiave? Chi e cosa dovrà cercare? I personaggi dell'opera sono ben definiti tranne quello della madre del piccolo (Sandra Bullock) alla quale servirà più tempo per uscire allo scoperto. Il più misterioso e bizzarro è sicuramente l'inquilino che vive in casa di sua nonna, un vecchietto che ha perso la parola diverso tempo fà. I due si uniranno per la ricerca del significato di quella chiave. Max von Sydow questa volta gioca una partita a scacchi con l'impossibilità di risolvere ciò che può definirsi irrisolvibile, eppure grazie al coraggio e la caparbia del piccolo Oskar riuscirà a vincere la sua partita. Molto forte, incredibilmente vicino è un film che altalena momenti di grande abilità registica e infinita retorica che comporta il "pianto facile". Messaggi che rimandano ad altri messaggi, metafore che rimandano ad altri significati: il telefono squilla molto forte durante il fattaccio (Tom Hanks vuole parlare con suo figlio), Oskar è lì, incredibilmente vicino, eppure non ha il coraggio di alzare la cornetta. Stephen Daldry dopo l'ottimo The Reader prova a leggerci un fantastico romanzo aggiungendoci le sue indiscusse abilità, ma il film sprofonda nell'abisso retorico con lo sfondo del "giorno più brutto", come se ci fosse bisogno di riportare quelle immagini per far scendere giù la lacrima sul viso degli spettatori. Ottima l'interpretazione di Thomas Horn e con un Max von Sydow da Oscar, l'opera riesce a sprigionare la sua anima attraverso l'accostamento di questi due personaggi regalando altissimi momenti di cinema come la scena in cui i due si nascondono dietro una siepe dopo aver citofonato all'ennesimo Black. Tirando le somme: Daldry ci conferma di avere la chiave per il successo, riuscendo a trovare puntualmente la serratura giusta, ma questa volta, dopo aver aperto la porta, ciò che c'era dentro ci lascia perplessi.

venerdì 4 maggio 2012

American Pie: Ancora insieme

Un film di Jon Hurwitz. con: Hayden Schlossberg. Con Jason Biggs, Alyson Hannigan, Thomas Ian Nicholas, Tara Reid, Chris Klein, Seann William Scott, Eugene Levy. Commedia, durata 113 min. - USA 2012. - Universal Pictures
Sono passati tredici anni dall'uscita del primo American Pie ed oggi la classe del '99 si ritrova per un week end dalle folli avventure, proprio come succedeva una volta. Considerando questo il quarto capitolo della saga (senza contare i diversi film che hanno sfruttato il fortunato titolo ma che non comprendono il cast originario), i personaggi di American Pie tornano in sala e promettono di far ridere ancora il loro pubblico. Nonostante le diverse gag che sicuramente funzionano anche a distanza di tredici anni, il film resta allacciato al solito moralismo americano, dall'happy ending forzato e cenni di volgarità gratuita. Se nel primo capitolo della saga bastava una semplice torta per far ridere gli spettatori presenti in sala, adesso questo non basta piu' secondo gli sceneggiatori del film. La scena della padella non funziona, la seconda parte del film (come tutti gli American Pie precedenti) resta aggrappata alla solita soluzione dei problemi dalla commozione minima e inutile. Il marcio presente in quest'ultima fetta di torta promessa da Shlossoberg è che non ci lascia alcuna scena cult da poter ricordare e da far si che la pellicola resti un'impronta negli anni a venire. Poco spazio ai personaggi femminili, fatta eccezione per la brava Alyson Hannigan. Tuttavia non mancano sprazzi di risata che rimandano indietro negli anni quegli spettatori legati e cresciuti con questa saga. Probabilmente la riuscita di tale comicità è dovuta alla scelta di ritagliare uno spazio maggiore ai personaggi di Stifler e del padre di Jim. Lo stesso Jim non smette di stupire i suoi fan, riuscendo ancora, a distanza di anni, a trovarsi in situazioni imbarazzanti e confermando il suo personaggio. American pie: Reunion è in definitiva un film nostalgico, che ci porta indietro nel tempo questa volta nei panni di personaggi cresciuti che non potranno piu' vivere la loro spensierata giovinezza come allora. Riesumati i loro vecchi desideri, i protagonisti del film si accorgeranno di non esser cambiati poi così tanto e che nonostante le difficoltà della vita, la loro amicizia resta comunque un punto di forza, un ancora sul quale fare affidamento nonostante le avversità che si presentano nel loro percorso vitale. Malgrado la locandina italiana porta lo slogan "l'ultimo pezzo è sempre il migliore" non ci sentiamo di questo avviso, in quanto i primi due capitoli restano quelli insuperabili e cult, comunque quest'ultimo pezzo di torta resta buona come i precedenti ed è sicuramente piu' buono del terzo (Il matrimonio). In definitiva: i fans apprezzaranno quest'ultimo capitolo proprio grazie alla nostalgia, però se Jason Biggs e compagni promettono di non aspettare altri tredici anni per rivedersi ancora ma di rifarlo ogni anno, risponderemo loro che non presenzieremo alle prossime reunion, perché verrebbe a mancare l'unico elemento che rende possibile la riuscita del film.

mercoledì 18 aprile 2012

DIAZ

Un film di Daniele Vicari.
Con Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou. Drammatico - durata 120 min.
Italia (con Romania e Francia) 2012 - Fandango




Tutto comincia con una semplice bottiglia di vetro frantumata in mille pezzi che, attraverso un effetto rewind, si ricompone per raccontarci ciò che è avvenuto prima della sua distruzione.
Il massacro nella scuola Diaz è una sinfonia mortale; la bottiglia è il ritornello.
Attraverso uno stile narrativo incentrato sul "ritorno" alla vicenda del G8, Daniele Vicari (Il passato è una terra straniera, ancora Elio Germano protagonista) si serve di questo espediente per raccontare i diversi punti di vista della tragedia che, inesorabilmente, subisce un punto di non ritorno alla sua rottura.
Vicari ci guida in un primo momento alla Diaz e ai suoi personaggi, poi prosegue descrivendo l’irruzione della polizia, il terribile massacro, ci mostra le autorità alle prese con la preparazione del blitz, le torture di Bolzaneto, fino ad arrivare ad una inesorabile conseguenza psichica subita dai personaggi lacerati per sempre da questo orrore.
La riuscita di questo film è dovuta alla straordinaria capacità (e decisione) di Vicari nel voler raccontare e mostrare allo spettatore ciò che è davvero accaduto a Genova nel 2001 dopo la morte di Carlo Giuliani in stile quasi documentaristico, lasciando in disparte la narrazione romanzata pur servendosi di due star come Germano e Santamaria (probabilmente una scelta che è servita ad attirare gente in sala perché per i fini del film assumono un ruolo secondario).
In una recente intervista l'autore di Diaz ha dichiarato di considerare il film più un horror che un action movie e infatti il riscontro che si desume alla fuoriuscita delle sale cinematografiche è proprio questo: la gente esce in lacrime e/o spaventata!
L’horror movie crea suspense, non ha alcuna logica sui suoi orrori. Quella notte, la gente che dormiva nella Diaz ha vissuto un horror: attaccati e massacrati all’improvviso, senza un preciso motivo, senza aver fatto alcuna provocazione se non quelle "inventate" dalla polizia per giustificare le proprie azioni; per quella gente, difendersi era impossibile.
Un film dunque che ferocemente farà parlare di sé; non è un caso che le produzioni istituzionali (di enti televisivi, per intenderci) non abbiano mosso un dito per il film di Vicari (né 01-rai, tantomeno Medusa-mediaset). Piuttosto, il film è stato co-prodotto con Francia e Romania dove sicuramente l'avranno visto (e lascio a voi ogni libero pensiero sull'idea che si saranno fatti).
Diaz è un film potente, violento, istruttivo, emozionante e senza dare troppo spazio allo star system, ma piuttosto servendosi della chiave che aprirà le porte delle menti degli spettatori: l'informazione. E allora eccoci tornati alla nostra bottiglietta frantumata, perché nonostante il caso non sia stato ancora risolto come dovrebbe, non essendo stati puniti brutali carnefici responsabili del massacro, quella bottiglia, ormai, non potrà mai più ricomporsi e quel sangue non verrà mai più cancellato.

martedì 17 aprile 2012

PICCOLE BUGIE TRA AMICI

Un film di Guillaume Canet.
Con François Cluzet, Marion Cotillard, Benoît Magimel, Gilles Lellouche, Laurent Lafitte.
Commedia - durata 154 min - Francia 2010 - Lucky Red



Les petits mouchoirs arriva in Italia con due anni di ritardo, quando Jean Dujardin può già vantare la sua fama internazionale grazie al film The Artist, cosi come Marion Cotillard (Midnight in Paris, Inception) e François Cluzet (Quasi amici). Un cast d'eccezione quindi per un film che, in Francia, ha ottenuto un discreto successo.
Dopo una serata passata in discoteca, Ludo (Dujardin) tornando a casa, subisce un brutto incidente in moto e viene ricoverato d'urgenza in ospedale. Tutti i suoi più cari amici vanno a fargli visita, ma nonostante le gravi condizioni del loro caro compagno, decidono insieme di non rimandare la loro vacanza a Cap Ferret, dove Max (Cluzet) possiede a una grandissima villa.
Tale vacanza farà emergere tutti i segreti e le paure dei diversi personaggi, i quali subiranno una "metamorfosi" durante il film.
L'opera viene acclamata dalla critica italiana e presentato come un capolavoro d'altri tempi (anche la rivista Cinematografo lo esalta, azzardando un riecheggiamento truffautiano) e anche una fetta di pubblico sembra aver gradito il film.
Malgrado tali elogi, l'opera pecca di originalità: l'ipocrisia esistenziale che fa da vigile alle vite dei protagonisti del film è una cosa vista innumerevoli volte, soprattutto nel nostro cinema (e ricorda il cinema di Ozpetek). Il cast è un ottimo frullato di attori talentuosi, tuttavia i loro personaggi sembrano essere in cerca di un copione da seguire: allo sbando! Nonostante i 154 minuti, si fa fatica ad affezionarsi anche solo ad uno di loro; non assumono una personale caratteristica e appaiono assolutamente lunatici subendo continue mutazioni caratteriali.
Non mancano frasi ad effetto per far ridere (?) e/o piangere il pubblico ma anche in questo caso si assiste al solito cliché troppo scontato specialmente per noi italiani.
Il finale potrebbe salvare in qualche modo il lavoro di Canet, ma anche in questo caso l'elemento drammatico appare forzato e sbrigativo.
Nonostante adoro il cinema francese, mi sento in dovere di sottolineare la scarsissima qualità della sceneggiature di questo film e la pessima decisione di evidenziare le pubblicità (ogni 10 minuti compare un cartellone trasformando il film in una televendita, vedi Heineken, American Spirit, ecc).
In conclusione mi dissocio da tutti i critici italiani che hanno esaltato questo film e che lo stanno promuovendo come uno dei migliori film dell'anno. Ringrazio il cinema francese per le tantissime perle cinematografiche dell'anno (tra questi i già citati Quasi amici e The Artist), ma devo bocciare l'opera di Canet.
Miei cari critici italiani, aprite gli occhi e mettete da parte il vostro amore per la produzione francese senza falsi elogi. Sappiamo bene quanto questa pellicola sia lontana anni luce da altri capolavori, ma se volete continuare a mitizzare il cinema francese ad ogni costo fate pure: resteranno solo piccole bugie tra amici.

giovedì 29 marzo 2012

THE RAVEN

Un film di James McTeigue.
Con John Cusack, Luke Evans, Alice Eve, Brendan Gleeson, Oliver Jackson-Cohen.
Thriller, durata 111 min. - USA, Ungheria, Spagna 2012. Eagle Pictures.




Le ultime giornate di Edgar Allan Poe sono effettivamente un mistero per tutti.
James McTeigue, dopo averci profondamente segnato nel 2005 con V for Vendetta, ci riprova oggi a riesumare quell'atmosfera cupa che ricorda un mix di pellicole cinematografiche, una su tutte: From Hell.
Nessuno sa, quindi, quale sia la causa della morte del grande Poe, di conseguenza un John Cusack, dalla medesima espressione facciale, prova ad incarnarlo con scarso successo.
Da qui comincia il film: ci troviamo nel 1849, Baltimora, dove E. A. Poe vive in pessime condizioni economiche e perennemente con una bottiglia alcolica in mano. Nel buio della sua essenza, l'unico spiraglio lucente è Emily, giovane, affascinante, ricca e figlia di un ex militare ormai in pensione. Una delle tanti notti in cui Poe elemosina qualcosa da bere nei locali di Baltimora, la polizia trova i cadaveri di due donne (madre e figlia) e il detective Emmett Fields si accorge che, nella scena dell'omicidio, vi sono diverse similitudini con il racconto I delitti della Rue Morgue. A questo punto viene chiamato inesorabilmente in causa lo stesso Poe che, cercando di dare una mano al detective, si improvvisa Sherlock Holmes (altro film palesemente scopiazzato cercando di sfruttare il recente successo ottenuto dalle pellicole di Guy Ritchie).
Sono tante le note storte di The Raven: si ha la sensazione di trovarsi davanti ad un frullato di pellicole già viste (From Hell, Saw, Sherlock Holmes, Seven e l'atmosfera evoca la filmografia Burtoniana); la deludente performance di Cusack convinto di risolvere ogni situazione con la stessa mimica facciale da cane bastonato; un mistero facilmente intuibile se si pensa alla radice degli omicidi, forse meglio concentrarsi su altri aspetti del film per evitare di rimanere palesemente delusi nel finale.
Dimenticate quindi V for Vendetta: Alice Eve non è Natalie Portman, non si tratta di lotta per la libertà, nessun 5 novembre da ricordare.
Malgrado tutte le critiche possibili sull'opera, si tratta proprio di ricordare quella traccia autoriale che McTeigue aveva lasciato con quest'ultima pellicola citata del 2005. Maschere, sottile linea di confine tra finzione e realtà, vendetta e ancora letteratura (che si tratti di poesia o fumetto).
I personaggi nati dalla penna di Edgar Allan Poe prendono vita e si ibridano con l'autore stesso, il quale si ritrova a fondersi tra i suoi scritti che sembrano prender vita in un "sogno nel sogno". Il faccia a faccia finale con l'assassino è degno di nota, in quanto rappresenta l'emblema cinematografico di un autore che calca la mano sulla rappresentazione del racconto filmico. Se V for vendetta è diventato un vero e proprio movimento politico ai giorni nostri, The Raven riprende lo stesso filone: la finzione carica di tensione nata dagli scritti di Poe prende vita come la maschera di V. In una società che conduce inesorabilmente alla follia, dove l'unico auspicio che possiamo farci è lo stesso che si augura lo scrittore e cioè che questo non accada "mai più".

MARIGOLD HOTEL

Un film di John Madden.
Con Judi Dench, Bill Nighy, Penelope Wilton, Dev Patel, Celia Imrie, Maggie Smith.
durata 123 min. - USA 2012. 20th Century Fox.



Dopo aver portato sul grande schermo le vicende sentimentali di Shakespeare in Love, Madden decide di adattare il romanzo These Foolish Things di Deborah Moggach raccontando, attraverso una commedia dall'umorismo britannico, la storia di un gruppo di inglesi pensionati alla ricerca di una nuova giovinezza.
Per far ciò, il regista si serve di un cast d'eccezione che ha contraddistinto il cinema inglese: Judi Dench, Bill Nighy, Tom Wilkinson e Maggie Smith.
Dalla critica sul trattamento della società inglese nei confronti della "vecchiaia", questi personaggi partono verso l'oriente a caccia di nuovi comfort e stimoli. Arrivati al Best Exotic Marigold Hotel con la premessa di usufruire di un servizio ottimale, i protagonisti si accorgeranno ben presto di esser capitati in un palazzo storico si, ma stenteranno a credere che possa trattarsi di un vero e proprio hotel a causa delle sue pessime condizioni.
Malgrado tutto, questi personaggi riusciranno a trovare in oriente ciò di cui avevano bisogno: una rinascita.
Il film fa scaturire la risata, a volte forzata, ma nonostante si serve di un cast straordinario, non decolla. Questa favoletta di buonismo assoluto portata in sala da Madden, lascia perplessi i suoi spettatori che, in qualche modo, speravano di farsi pilotare verso un mondo nuovo e che potesse fungere da guida sia in forma di cartolina d'oriete, sia per quanto riguarda una possibile seconda giovinezza assunta dalla gente di terza età.
In conclusione, il Marigold Hotel garantisce sprazzi di risatine un pò forzate e stereotipate, a tratti anche piacevoli, ma sostanzialmente emerge la sensazione di trovarsi davanti ad un'opera vuota che sembra perdere quota sequenza dopo sequenza fino a sfociare nell'happy ending degno di un film di Walt Disney.

lunedì 19 marzo 2012

QUASI AMICI

Un film di Olivier Nakache, Eric Toledano.
Con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot.
Commedia, durata 112 min. - Francia 2011.



Siamo alle solite: Intouchables viene riproposto in Italia con il titolo Quasi Amici (titolo che non rende minimamente il senso dell'opera). Philippe e Driss sono due tipi intoccabili. Il primo perché non vuole essere considerato paraplegico, non ha bisogno della compassione della gente. Driss, da parte sua, appena uscito di prigione, si presenta subito al pubblico come un tipo riservato, scortese e dai modi di fare stravaganti. Quando Philippe assume Driss come suo badante prende piega il ritmo incalzante del film di Nakache e Toledano. L'opera racconta una doppia rinascita: dalla ormai rassegnazione di Philippe costretto a vivere su una sedia a rotelle e senza una donna da avere accanto, alla possibilità di una vita migliore per Driss che, dopo il tempo passato dietro le sbarre, vede aprirsi un varco per una rinascita sociale attraverso il suo nuovo "quasi amico". L'elemento che consentirà tale rinascita ai protagonisti sarà l'umorismo.
La storia vera che viene riportata sul grande schermo dell'amicizia tra i due personaggi, funziona per la scelta stilistica di non rappresentare i disagi in forma drammatica. Nakache e Toledano avvisano gli spettatori di lasciare i loro fazzoletti a casa questa volta.
Gli sport estremi, la musica classica e la pittura vengono parodiati da Driss e Philippe. C'è tempo per le risate, il funky, le corse esplosive con la Maserati e viene invece finalmente a mancare il vero approccio della società con i disabili (sia fisici che sociali).
L'opera sembra ricordare Profumo di donna, dove Gassman (o Al Pacino) nonostante fossero ciechi, riuscivano a far vedere con occhi diversi la realtà al ragazzo che badava a loro. In questo caso si assiste ad un procedimento inverso: sarà proprio Driss che attraverso i suoi modi di fare e il suo approccio alla vita, riuscirà a tirar fuori il meglio di Philippe sbloccandolo dalla sua angoscia e dalle sue paure nel relazionarsi con la gente.
E' questa dunque la storia che ha sbancato il botteghino francese (20 milioni di spettatori, 170 milioni di euro incassati) e che ci dimostra quanto sia la società stessa ad avere un handicap, curabile (forse???) attraverso il mezzo cinematografico.

lunedì 12 marzo 2012

HUGO CABRET

Un film di Martin Scorsese. Con Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ray Winstone.
Genere: Avventura.
Durata 125 min. - USA 2011. - 01 Distribuzione

Quando i trailer riportano il nome di Martin Scorsese ci sono sempre altissime aspettative.
E' capitato con il recente Shutter Island e si è ripetuto con quest'ultimo Hugo Cabret.
Questa volta, osservando le anticipazioni dell'ultima pellicola del maestro Scorsese, c'è stata gente che stentava a credere che potesse davvero trattarsi di un suo film. Il 3D appartiene a Spielberg, Zemeckis e ad altri cineasti che si sono cimentati in questa tecnica, ma mai a pensare che il regista di Quei bravi ragazzi potesse approdare al 3D o uscire in sala con un film che richiama le atmosfere di Oliver Twist.
Facile confondersi, mi verrebbe da dire; difficile azzardare aspettative quando si parla di Scorsese. Infatti, solo dopo aver visto il film la gente può finalmente rendersi conto di quanto possa essere "scorsesiana" questa pellicola.
Hugo vive nascosto nella stazione di Paris Montparnasse. Rimasto orfano, decide di aggiustare gli orologi della stazione e coltiva il sogno di riparare un robot che conserva nel suo nascondiglio e che raffigurerà tutto ciò che gli rimane di suo padre. Per riuscire in questa sua missione, il protagonista sottrae gli attrezzi di cui necessita dal negozio di giocattoli della stazione gestito da un uomo triste e burbero, ma viene colto in flagrante dal vecchio e derubato del prezioso taccuino di suo padre con i disegni dell'automa necessari alla riparazione di quest'ultimo. Hugo farà di tutto per riavere il suo taccuino e finirà per lavorare sotto gli ordini di quel burbero uomo misterioso. Sotto le vesti di questo strano personaggio si racchiuderà tutto l'amore che il cineasta Scorsese prova nei confronti del cinema, richiamando gli effetti speciali del passato e mescolandoli a quelli di oggi.
Alla fine della visione di quest'opera, il pubblico potrà uscire dalla sala soddisfatto e compiaciuto nell'aver visto un film istruttivo, emozionante e "speciale" come gli effetti del 3D, ma in generale, proprio come Martin Scorsese.
Sarà un caso, ma Hugo si accosta a The Artist e a Midnight in Paris per la scelta di un ritorno al passato: un tema che ha contraddistinto il festival degli Oscar in questa annata.
In conclusione, non mi resta che augurarvi una buona visione e consiglio vivamente di allacciare le cinture in sala, perché il regista in questione promette di portarvi dritti sulla luna!

lunedì 13 febbraio 2012

SHAME

Un film di Steve McQueen.
Con Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware.
Drammatico, durata 99 min. Gran Bretagna 2011.



"My tears fell like rain, ain't that a shame" cantava Fatz Domino diversi decenni fa.
Oggi quella canzone viene ripresa e modificata ai giorni nostri attraverso una pellicola cinematografica targata Steve McQueen (da non confondere con la nota star, i due non hanno alcuna parentela).
Per la sua seconda opera (la prima è Hunger del 2008), McQueen sceglie di raccontare la lugubre ed elusiva quotidianità seguendo le orme della scuola Zavattini, quasi fosse un pedinamento del reale, per riportare su pellicola la tanta trasgressione che funge da protagonista nel nostro tempo. Il film riesce a strappare nomination agli Oscar e, in punta di piedi, fa parlare di sé. Struggente ed emozionante al tempo stesso, Shame si ritaglia uno spazio tra le pellicole più riuscite del 2012, presentando sequenze destinate a diventare cult come quella dei giochi di sguardi nella metropolitana.
Brandon (interpretato da un ottimo Michael Fassbender) è il protagonista del film. Devoto alla prigionia sessuale, egli non può condurre uno stile di vita appagante, ma piuttosto continua a chiudersi in se stesso e ad afferrare quelle piccole soddisfazioni che gli concede la masturbazione, per poi abbandonarsi all'atto sessuale vero e proprio con la prima persona che gli capita davanti. Grigia, costernata e maniacale, la pellicola di McQueen ci conduce verso l'esplorazione dell'individualismo e dell'impossibilità dell'essere, o meglio, dell'essere vivi. La New York che vediamo nel film consuma la sua popolazione pilotandoli verso l'esasperazione e l'ossessione. Una perla non può brillare per la sua bellezza estetica, perchè offuscata dal grigiore: New York, New York di Frank Sinatra non può suscitare gioia e sorrisi a chi l'ascolta. Brandon è un uomo affascinante, con un ottimo posto di lavoro, piace alle donne, tuttavia, nonostante i 99 minuti di pellicola, egli riesce a sorridere solo durante una cena con una collega di lavoro che, però, non riuscirà a strappare Brandon dalle grinfie della solitudine. Neppure sua sorella Sissy sarà in grado di aiutarlo, anzi, la sua presenza finirà per opprimere maggiormente il protagonista. "Noi non siamo cattive persone, è solo che veniamo da un brutto posto" esclama Sissy a Brandon. Questa frase è quello che possiamo definire come l'elisir filmico: non si tratta di una critica al genere umano, piuttosto è una constatazione su come la crescita e lo sviluppo sociale conducano ad un costrutto strumentalizzato.
Ad un certo punto del film, dopo una cena con la collega di lavoro, Brandon confessa di voler vivere negli anni Sessanta e di voler essere un musicista, proprio come Fatz Domino. Le parole di Ain't that shame esplicitano che non c'era alcuna vergogna in quegli anni, ma adesso è diverso, come Brandon stesso sostiene "sono le azioni che contano, non le parole" e le sue azioni ci riportano al titolo del film.

mercoledì 18 gennaio 2012

THE HELP

Un film di Tate Taylor.
Con Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain.
Drammatico, durata 137 min. - USA 2012.



Ci troviamo nel 1962, in un paesino del sud America, dove Skeeter, una ragazza ventiduenne appena laureata, decide di raccontare la verità sul trattamento riservato alle domestiche di colore da parte delle loro padrone bianche. Già, siamo nel '62, ancora bianchi contro neri penserete!
Perché continuano, in America, a sfornare film su questa tematica?
La rivista Cinematografo ha letteralmente distrutto l'opera del giovane Tate Taylor perché ritenuta una sorta di "deja vu" e poco inerente ai giorni nostri. Abbiamo visto Il colore viola, Malcom X, Glory, A spasso con Daisy e tante altre pellicole riguardo al razzismo. A mio avviso, questo film si discosta dalle tante opere che hanno trattato la tematica in questione, in quanto, questa volta, sotto i riflettori non vi sono i soliti eroi neri o i tanti fatti di cronaca sentiti e risentiti. Questa volta la luce è puntata su un "semplice" libro. Sì, perché il film non si limita esclusivamente a mostrare le atrocità fatte a queste domestiche, piuttosto scava a fondo e fa emergere il personaggio di Skeeter che, legata alla sua ex domestica, si avvicina alle donne nere stanche di subire logoranti umiliazioni e cercherà di comprendere la verità a riguardo, per poi smascherare i colpevoli. Il film, di conseguenza, non è esclusivamente incentrato sul razzismo, non può essere posto come un'opera passata e sul passato, bisognerebbe piuttosto soffermarsi a riflettere sull'impatto che un romanzo (il film è tratto dal best seller di Kathryn Stockett intitolato proprio "The Help") può riscontrare con il mondo intero. Le storie di Minny e di Aibileen (i nomi delle domestiche con i ruoli di spicco) varcheranno i confini e saranno lette in un primo momento da chi ha osato umiliarle, per poi arrivare davanti ai nostri stessi occhi.
Alla luce di quanto si è discusso, consiglio un film che non solo espone tematiche interessanti e non completamente superate, ma risulta interessante soprattutto perché, come io stesso sto facendo, scrivendo possiamo "aiutarci" a comprendere quanto un libro possa avere un'importanza rilevante oggi.

mercoledì 11 gennaio 2012

J. EDGAR

di Clint Eastwood,
con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench.
Durata 137 min. - USA 2011



J. Edgar non è un film sulla vita di J. Edgar, bensì sulla vita che avrebbe voluto avere. Quest'opera targata Clint Eastwood si accosta alla precedente pellicola del maestro hollywoodiano (Hereafter) il quale cerca, invano, di tornare su quei passi che l'hanno reso celebre dietro la macchina da presa. Siamo, infatti, lontani anni luce dai capolavori di Mystic River e Million Dollar Baby.
La storia narra le vicende di J. Edgar Hoover (interpretato da uno straordinario Leonardo DiCaprio), il quale viene nominato capo dell'FBI dal presidente Coolidge e, da questo momento in poi, resterà al servizio di ben otto presidenti americani. Edgar vive con la sua affezionatissima madre, la quale non accetterebbe mai l'omosessualità di suo figlio. La scalata al successo di J. Edgar Hoover viene raccontata in 137 minuti, menzogna dopo menzogna, elementi troppo poco soddisfacenti per reggere un'opera di un regista dal calibro di Clint Eastwood.
Troppi presidenti quindi, troppa la durata di un film che non conduce da nessuna parte. L'unico risvolto drammatico dell'opera riguarda il suo non rapporto d'amore con il fedele Clyde Tolson. Altra nota storta è rappresentata da un DiCaprio (ma non solo lui) invecchiato male con la voce che sembra rimanere costante nel tempo, quasi rappresentasse la parodia di se stesso.
La mano dell'autore c'è e viene apprezzata per tutta la durata della pellicola, attraverso un ottima scelta stilistica, i salti temporali sono rappresentati in maniera impeccabile attraverso l'utilizzo di raccordi impercettibili, il film è pieno di riferimenti cinematografici (vedi la citazione a Nemico Pubblico), anche le interpretazioni di tutto il cast sono di alto livello.
L'elemento che non convince (probabilmente quello più importante) è la scelta di un soggetto (la storia di J. Edgar) interessante si, ma non per questo pronto per il grande schermo. Eastwood questa volta non ha pensato a come l'Europa intera e non solo (anche parte dell'America stessa) si sia potuta annoiare a vedere un'opera prettamente americana, specie se viene trasfigurata del tutto, come in questo caso.
Rimandato, quindi, l'appuntamento con un nuovo capolavoro di uno dei maestri contemporanei del cinema, il quale continua a decorare le sue opere di moralità; forse Clint dovrebbe sospendere lo sventolamento della sua bandiera e dedicare il suo talento ad altre storie che potrebbero toccare il mondo intero più da vicino: dopotutto noi abbiamo bisogno di lui, dei suoi soggetti più avvincenti, noi abbiamo bisogno di un milione di dollari, baby!

martedì 3 gennaio 2012

THE ARTIST

Un film di Michel Hazanavicius.
Con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller. Drammatico.
Durata 100 min. Francia 2011



Nell'era in cui tutto è già stato scritto, già stato detto e addirittura già stato girato, nasce l'ultimo capolavoro cinematografico targato Michel Hazanavicius: "The Artist".
L'opera si contraddistingue per la scelta stilistica riportando nelle sale cinematografiche il cinema muto. Acclamato dalla critica e con ottime impressioni di pubblico, questo film francese si ritaglia (in punta di piedi) uno spazio tra le opere più belle di tutti i tempi, lasciando un'impronta importante che consente agli spettatori un' immersione nei tempi passati, quando la più grande funzionalità dello stesso cinematografo era quella di far immergere in un mondo tutto nuovo i suoi spettatori.
La storia racconta le vicende di George Valentin, una star del cinema muto. I suoi film variano dal genere avventuroso a quello romantico e riempiono le sale di tutto il mondo. L'inizio vero e proprio di questa pellicola si inaugura con l'entrata in scena del personaggio femminile, una giovane aspirante attrice che si avvicina a George (all'uscita da una prima) e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata alla star. Successivamente la giovane ragazza diverrà una ballerina e, dopo aver nuovamente ballato con Valentin, si ritroverà sul set di un film dove inizierà la sua carriera cinematografica. Da quel momento in poi, il nome d'arte della giovane ragazza comparirà fuori da tutte le sale cinematografiche: Peppy Miller è la nuova star. La sua carriera verrà agevolata dall'avvento del sonoro, evento che porterà George Valentin ad uno stato di meteora.
L'esperimento azzardato dal regista Hazanavicius vince e convince le platee. Attraverso diverse didascalie, è possibile riscontrare il suo tentativo nel voler sottolineare quanto il cinema abbia bisogno di un ritorno alle origini. "Spazio al nuovo, via il vecchio" dice la Miller, ma in realtà è proprio un procedimento opposto quello che l'autore compie nella sua opera (probabilmente riferendosi al 3D). Suggestivi anche i titoli di testa in perfetto stile noir, cosi come le musiche che coinvolgono i vari generi che hanno fatto la storia del cinema (dallo slapstick al musical). Non mancano tentativi di sperimentazione da parte del regista: alcune sequenze caratterizzano questo suo mash up tra vecchio e nuovo e lo fanno dando vita ad un capolavoro senza precedenti. Azzardando un accostamento: cosi come Wells scavalcava con la sua macchina da presa quei cancelli di casa Kane, anche Hazanavicius decide di dare una svolta positiva all' ambito cinematografico, facendo "parlare" nuovamente i personaggi in sala cosi come avevano cominciato, scavalcando quelle barriere istituzionali che caratterizzano ogni pellicola presente in sala da ormai ottant'anni.
In conclusione, non mi resta che augurarvi la buona visione di un film che non vi promette la solita traccia sonora, ma si fa sentire più di qualunque altro.