La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale.

Louis Lumière

Cerca recensione

Benvenuti su CineCritica!

Uno spazio su cui leggere le recensioni di nuove e vecchie pellicole uscite in sala.
Blog a cura di Mimmo Fuggetti

TORNA ALLA HOME PAGE

martedì 19 febbraio 2013

NOI SIAMO INFINITO



Titolo originale: The Perks of Being a Wallflower

di Stephen Chbosky
con: Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Miller, Mae Whitman, Melanie Lynskey, Dylan McDermott, Paul Rudd, Tom Savini.

Drammatico - Durata 112 minuti
2012 - USA.

Arriva in Italia The Perks of Being a Wallflower, con il titolo tradotto Noi siamo infinito, tratto dal romanzo dello stesso Chbosky.
1991, America. L'intelligente, ma timido e inetto, Charlie (Logan Lerman) osserva il percorso degli eventi dalla sua camera, scrivendo una sorta di diario personale. Gli amici latitano, finché non compaiono la bella Sam (Emma Watson) e il suo fratellastro Patrick (Ezra Miller, probabilmente il migliore tra gli attori). Mentre si recita il Rocky Horror Picture Show e un professore trasmette a Charlie il sogno della scrittura, per il terzetto la missione è trovare la colonna sonora della propria vita (ci sembra di ricordare 500 giorni insieme, non sarà un caso la scelta degli Smiths). Ma come ci si può aspettare, non và tutto liscio: il passato torna a rapire il povero Charlie, che non ha mai superato la morte accidentale della zia. Da qui una serie di eventi si susseguono, portando il giovane protagonista ad una crescita relazionale e alla nascita di nuovi sentimenti mai provati prima.
Il film vince e convince lo spettatore. Sicuramente il punto di forza dell'opera sta nella sceneggiatura, forte e dall'infinità realisticità di una storia, anomala per certi versi, ma che (cosi come sostiene il protagonista) si verifica frequentemente restando nell'ombra. I problemi di Charlie sono gli stessi di tanti adolescenti, amplificati certo dal trauma infantile. Ottima la colonna sonora che accompagna le vicende dei ragazzi; buona la performance dei giovani attori (probabilmente tra i migliori ad Hollywood attualmente) e decisamente convincente l'adattamento di Chbosky che ci regala scene destinate a divenire cult come quella in macchina con David Bowie a garantire adrenalina e colpo di fulmine tra noi e il film. Ciò che colpisce di Noi siamo infinito è la sua orignialità, pur essendo un film sicuramente ispirato ad altri (sembra di vedere Donnie Darko a volte nello sguardo di Charlie, cosi come il già citato 500 giorni insieme). In un tempo dove il ricalco domina la scena hollywoodiana e il mondo sembra non fermarsi mai (esplicitato nella sequenza in auto, ma anche nell'incipit del film con la soggettiva del protagonista) sono film come questo che riportano la consapevolezza che tutto non è ancora stato scritto e girato. Il film ci insegna che il passato è passato, ma ciò che possiamo avere davanti è ancora un incognita, spingendo la nostra percezione a desiderare il nuovo, la sorpresa (come il colpo di scena finale). Sappiamo che un giorno questo film diverrà storia e le immagini diventeranno vecchi fotogrammi, e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno, ma qui, adesso, in questo momento non si tratta di storia, questo sta succedendo, noi siamo qui, e lo stiamo guardando… ed è bellissimo.

domenica 17 febbraio 2013

FLIGHT



Un film di Robert Zemeckis.

Con Denzel Washington, Don Cheadle, Kelly Reilly, John Goodman, Bruce Greenwood.
Drammatico - Durata 138 minuti
USA 2012.

Eccolo di nuovo! Robert Zemeckis torna a girare film con attori in carne e ossa e lo fa alla sua maniera, riportando sul grande schermo tutte le tematiche che hanno fatto di lui un maestro del cinema contemporaneo, capace di contraddistinguersi da tutti gli altri cineasti.
In Flight, infatti, è possibile ritrovare tutto il suo cinema: dal tema del tempo a quello del doppio, dall'esorcizzazione della morte al mito.
Una serie di improvvisi guasti e calamità naturali trasformano un normale volo di linea in un vero incubo. L’audace e coraggioso comandante Whip Whitaker (interpretato da un Denzel Washington in grande spolvero) riesce a evitare la tragedia. Immediatamente acclamato eroe dai superstiti e dalla stampa, l’uomo in realtà potrebbe essere la causa dell’intera sciagura per via del suo stato d'ebrezza prima e durante il volo.
Per il suo diciottesimo lungometraggio Zemeckis torna a lavorare con Don Burgess (direttore della fotografia) e opta per uno straordinario montaggio alternato per la prima parte del film, mettendo in parallelo le vita del protagonista e quella della donna che sarà la sua futura compagna. 
Dunque, da dove cominciare? Ah si, il tanto amato movimento del regista di Chicago, senza il quale i suoi personaggi e le sue storie non prendono vita. Dopo aver scelto una Delorean, una zattera, un treno, ecco adesso l'aereo. Zemeckis ci invita a salire a bordo promettendoci di regalarci un'esperienza straordinaria. Gli spettatori infatti sembrano essere incollati su quelle poltrone e nonostante le turbolenze e consapevoli di andare incontro ad una tragedia, si ha la convinzione di dover atterrare planando neanche fosse il leggero movimento di una piuma, come quella del buon vecchio Forrest Gump. Un arma a doppio taglio quindi e se si parla di doppio come non sottolineare la duplice personalità del protagonista: Whip è un eroe ma allo stesso tempo racchiude tutti i cliché dell'antieroe, alternando momenti di pura saggezza quando si rapporta con la gente al di fuori dal suo guscio dove invece regna l'altro Denzel, l'ubriacone, per intenderci. La maschera indossata dal protagonista è la stessa usata da Jodie Foster in Contact, nascondendo il dolore dentro di se (in quel caso per la perdita del padre, in questo caso per essere stato allontanato dalla sua famiglia). Il mito degli Stones (mentre nella sua prima pellicola toccò ai Beatles) fanno da sottofondo all'entrata in scena di John Goodman, che spiazza lo spettatore portando un tocco di ironia in perfetto stile Coen. Proprio come in tutte le sue pellicole precedenti, anche in Flight, Zemeckis compie un'operazione di esorcizzazione della morte: il suo personaggio non può morire, eppure sembra morto dentro sin dai primissimi minuti del film. Il suo tempo è finito da un pezzo, precisamente da quando i rapporti con la famiglia sono andati degenerando ed è proprio questo il punto centrale di tutta l'opera del regista di Chicago: il tempo. Se Tom Hanks sostiene di non perdere di vista il tempo in Cast Away e poi si ritrova in un non-luogo, dove le ore/giorni non contano a nulla, anche Whip si ritroverà a vivere la sua vita nel vuoto, nel nulla più totale, dove ogni giorno che passerà sarà identico a quello precedente, costretto a vivere in una cella fittizia che lo imprigiona da troppo tempo ormai. Il finale del film, da qualcuno criticato, non poteva essere rappresentato in nessun altro modo. Denzel Whasington tra le sbarre riprenderà a vivere e forse solo allora le sue lancette riprenderanno a muoversi. Magistrale.